"Losing Alice" si perde nei suoi eccessi

l principale motivo per cui Apple non riesce ancora a competere con i colossi della nuova tv è dato dalla pessima abitudine di diluire le nuove serie a una sola puntata settimanale.

"Losing Alice" si perde nei suoi eccessi

Il principale motivo per cui Apple non riesce ancora a competere con i colossi della nuova tv è dato dalla pessima abitudine di diluire le nuove serie a una sola puntata settimanale. Ciò contraddice il principio, che ha cambiato la storia della fruizione contemporanea del mezzo, dell'opzione di guardare un programma quando si vuole, anche in una sola notte. Soprattutto se si tratta di gialli, noir, storie di suspence, dover attenderne gli sviluppi ogni giovedì è disamorante e strategicamente poco comprensibile. Avranno le loro buone ragioni.

Tra le ultime proposte di Apple spicca Losing Alice, la serie israeliana diretta da Sigal Avin in otto episodi, al momento disponibili sei per cui ci vorranno ancora quindici giorni per capire come diavolo andrà a finire. Promettente sulla carta - Israele è cinematografia emergente, il prevalente punto di vista femminile garantisce uno sguardo all'inizio molto intrigante - Losing Alice si sgonfia per mancanza di ritmo, lentezza in eccesso, complicazione nella struttura narrativa (tutti vorrebbero essere Lynch). Al centro della storia Alice, 47enne regista di cinema che ha sposato un attore, ci ha fatto tre figlie ed è rimasta ferma nella propria carriera, visibilmente insoddisfatta. Il caso (ma è davvero un caso?) le fa incontrare in treno Sophie, giovane, bella e sfrontata sceneggiatrice che entra di prepotenza nella sua vita e nella sua famiglia. Ne nascerà l'occasione del ritorno di Alice alla macchina da presa, con Sophie scrittrice e interprete accanto a David, il marito, per un film torbido, con scene di sesso esplicito e violenza. Un triangolo amoroso ed erotico complicato da strane figure, l'incestuosa madre di David, il compagno di Sophie molto più anziano di lei, un'amica misteriosamente scomparsa, il vicino di casa un po' maniaco.

Gli ingredienti per arrivare alla fine ci sono; ciò che non convince appieno sono le scelte stilistiche: la lentezza esasperante delle inquadrature, la ripetizione insistita di alcuni elementi, in particolare quel modo tutto contemporaneo di inserire nella lista degli attori protagonisti gli smartphone. D'accordo che viviamo nell'era del digitale, va bene che si fa politica sulla tecnologia 5G, ma forse la drammaturgia si costruisce ancora sui dialoghi e le situazioni, non sui whatsapp.

A proposito di attori, la più convincente è Ayelet Zurer nella parte di Alice. Francamente eccessiva e ciarliera Lihi Kornowsky, interprete di Sophie.

Da contorno gli altri. Ci auguriamo che il finale riservi ancora qualche sorpresa, che l'intrigo si sciolga in maniera credibile rimettendo in ordine il puzzle dei tanti personaggi. Al momento non arriva alla sufficienza.

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