Lucano si difende e accusa. Ma ammette: "Rifarei quei reati"

L'ex sindaco di Riace si difende: "Contro di me macchina del fango". Ma poi ammette: "Sono orgoglioso di aver sbagliato"

Lucano si difende e accusa. Ma ammette: "Rifarei quei reati"

Mimmo Lucano rompe il silenzio. L’ex sindaco dell’accoglienza parla e punta il dito contro i “detrattori”. Accusa giornali e tv che parlano dell'indagine contro di lui e dice: “Contro di me una macchina del fango costruita ad arte per denigrarmi”.

Così, l’esiliato “Mimì”, risponde alla nostra inchiesta che ha portato alla luce le “magagne” dell’accoglienza. Un’inchiesta arricchita da intercettazioni e documenti esclusivi che svelano il “modus operandi” dell’ex sindaco di Riace. Lo Zar del piccolo paese in provincia di Reggio Calabria accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa e abuso d’ufficio. Era lui, secondo la Procura di Locri, a gestire tutto, a fare il bello e il cattivo tempo. Viene raccontato dettagliatamente nelle carte dell’inchiesta “Xenia”.

Una conferenza stampa convocata nel parcheggio di un piccolo campeggio estivo di Caulonia, a 19 chilometri di distanza da Riace. Al fianco del “sindaco eroe” Pietro Melia, giornalista del servizio pubblico in pensione, con i sandali ai piedi e la maglietta rossa con su scritto “restiamo umani” e Sasà Albanese, presidente del “Comitato 11 giugno” (data di inizio del processo a Lucano). Un comitato nato per sostenere Mimmo Lucano. Non solo moralmente ma, soprattutto, economicamente. L’associazione, infatti, ha lanciato una raccolta fondi a favore del “sindaco eroe”. “Non fermiamo il vento” recita il manifesto con tanto di codice iban. Sono loro a minacciare querele contro “il complotto”, contro “l’ondata denigratoria”.

Peccato, però, che sia lo stesso Lucano ad ammettere gli “errori” in conferenza stampa. “Vuoi che in vent’anni di attività non ci siano stati errori?” E ci tiene a sottolineare. “Non mi pento, rifarei alcuni reati. Rifarei esattamente le stesse cose!”, dice Lucano perentorio. “Sono orgoglioso di aver sbagliato”. Dice. Dunque, Lucano, ammette di essere andato “contro legge”.

“Il modello fa paura - sostiene “U’Curdu” - e le intercettazioni sono state manipolate per distruggere un progetto famoso nel mondo.” Ma a parlare è proprio lui. Nulla di artefatto e trascritto. Nulla di inventato. Era lui ad impartire ordini per conto di Città Futura, era lui a gestire i soldi dei migranti. A dirlo è l’accusa.

I concerti pagati con i soldi dei migranti, le case dei profughi prestate a Beppe Fiorello e agli ospiti del Riace Film Festival, le fatture gonfiate per avere più soldi dal ministero dell’Interno, le assunzioni ad amici in cambio di voti e la candidatura per scappare dal processo. È stato lui stesso a dirlo ieri: “Mio fratello insisteva (per la candidatura ndr) e gli ho detto di sì per farlo contento. Ma gli ho detto che dal punto di vista giudiziario comunque mi conveniva. L’ho detto e lo dico, 'da quel punto di vista mi conviene' perché pensavo 'ho un sostegno in più'. Ho immaginato così, ma dentro di me mi conveniva. Ma dentro di me non volevo fare questa candidatura. Dalla politica sono uscito più povero”. Ma per l’accusa è Mimmo Lucano la mente di tutto. È lui a gestire i soldi pubblici.

Il processo è in corso, ma le prove di cui siamo entrati in possesso parlano chiaro.

Il vessillo della sinistra pare sia stato beccato con le mani nella marmellata. Per lui e i suoi compagni è solo fango. Ma a sguazzare nella pozzanghera è stato Lucano. “Il modello Riace sapete cos’è? Una banalità!” sostiene Lucano. Una banalità costata cara. Allo Stato.

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