LUIGI CHIATTI

Dalla scrittura del mostro di Foligno balzano all'occhio due aspetti fondamentali: un'intelligenza raffinata, con una logica stereotipata, e un carattere introverso con note di ossessività di tipo maniacale

LUIGI CHIATTI

Osservando la scrittura di Luigi Chiatti (guarda la grafia) balzano all'occhio due aspetti fondamentali: un'intelligenza raffinata, con una logica stereotipata, e un carattere introverso con note di ossessività di tipo maniacale, che lo ha portato alla pietrificazione dei sentimenti. Nascono sentimenti di aggressività reattiva ma non espressa, dovuti a frustrazioni subite che hanno varcato la soglia di tolleranza superando gli argini protettivi dell'Io e dando così luogo all'esplosione del mondo pulsionale e istintivo. Tutti questi elementi vengono espressi da una grafia oltremodo piccola, congestionata e ispessita, che dimostra quanto lo scrivente viva in modo tensivo l'intera realtà.

La leggibilità dello scritto, legata ad un grafismo elementare quasi scolastico, è espressione di una struttura legata alla primarietà nel senso che egli soggiace ancora pienamente al principio del piacere.

L'impulso in Chiatti ha preso il sopravvento mettendo in luce la difficoltà a manifestare le emozioni e i sentimenti, per cui in lui tutto rimugina al suo interno producendo risentimenti e tensioni. L'Io finisce così per pietrificare poiché troppo forti sono state le delusioni.

La grafia di Luigi Chiatti indica pertanto un conflitto tra una natura semplice e bisognosa di corresponsione (vedi abbondante occupazione orizzontale dello spazio) che si oppone alle note ossessive (vedi scrittura ispessita e pastosa) che hanno finito per impossessarsi completamente di lui e che non hanno trovato sfogo in relazioni interpersonali soddisfacenti. La sua vita di relazione è assolutamente inadeguata ai suoi reali bisogni.

Chiatti è vittima del "non amore", di una costrizione educativa, di una crisi d'identità sessuale che sta alla base delle sue devianze e che ha portato il ragazzo a diventare un assassino. Egli può aver colto nelle due vittime un aspetto della sua personalità disturbata: è come se uccidendo questi bimbi egli tentasse in qualche modo di colpire la propria parte malata.

Non a caso egli afferma: "Ho ucciso Simone e Lorenzo perché uccidevo me stesso da bambino, la mia infanzia infelice". Una vita stroncata dal non amore da parte di chi gli ha dato la vita e, con altrettanto cinismo, l'ha poi tolta.

Dr.ssa Evi Crotti
Psicopedagogista e scrittrice, esperta di grafologia

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