È fuori dubbio che lo scoppio della guerra poté essere evitato allora dopo che Neville Chamberlain, Primo Ministro di Gran Bretagna, si decise finalmente ad accogliere il mio pressante invito, sul quale da oltre una settimana stavo insistendo, per una telefonata a Mussolini pregandolo di insistere presso Hitler per una urgente riunione tra le quattro potenze, Germania, Inghilterra, Francia e Italia onde trovare uno sbocco pacifico alla crisi della Cecoslovacchia dalla Germania nazista provocata. La storia è nota. Mussolini accettò di intervenire telefonicamente presso Hitler e quest'ultimo accettò a sua volta di discutere attorno a un tavolo i gravi termini della questione. Nacque così Monaco e la guerra, che tutti davano per certa, venne evitata. Mussolini rientrato in Italia venne accolto da una popolazione festante, la quale salutava nel Duce il salvatore della pace in Europa. Rivolgendosi alla folla che lo acclamava in Piazza Venezia, Mussolini esclamò quasi con dispetto: «Vi porto la pace che voi desiderate». Fu quella l'ultima grande giornata nella vita del Duce.
Ricordo ancora oggi, come fosse ieri, la drammatica seduta ai Comuni durante la quale tutti attendevano di udire dalla bocca di Chamberlain che la guerra era inevitabile. Prima di recarsi alla Camera dei Comuni Chamberlain mi aveva fatto domandare se avevo notizia circa l'esito del suo passo presso Mussolini effettuato la sera prima dietro mio suggerimento. Nessuna notizia. Nessuna notizia neppure dall'ambasciatore britannico a Roma Lord Perth. Chamberlain cominciò il suo discorso indugiandosi a lungo sulla minuta descrizione degli avvenimenti che avevano portato sull'orlo della guerra e, nell'atmosfera di elettricità che aveva pervaso l'assemblea, si accingeva ad annunciare al Parlamento che la situazione non aveva altro sbocco che la guerra. Fu precisamente in quello stesso momento che un usciere entrò nell'aula e porse un biglietto al ministro più vicino che sedeva nel banco del governo. Il biglietto passò lentamente di mano in mano finché giunse al Primo Ministro il quale si interruppe per leggerlo, annunciando poscia tra l'emozione generale che a seguito dell'intervento mediatore di Mussolini, Hitler aveva accettato di discutere il giorno seguente a Monaco la questione cecoslovacca in una riunione tra i primi ministri della Gran Bretagna, della Francia e dell'Italia. Scoppiò un applauso irrefrenabile dell'assemblea all'indirizzo di Mussolini e dell'Italia e tutti gli occhi si affissarono su di me che sedevo nella tribuna degli ambasciatori tra i colleghi diplomatici. Così nacque Monaco. ()
Io credo gli inglesi siano stati unfair, cioè sommamente ingiusti con Chamberlain e tra questi in primo luogo il mio amico W. Churchill. Nel 1938 l'Inghilterra era assolutamente impreparata alla guerra spiritualmente e materialmente. Il riarmo febbrile dell'Inghilterra non era ancora cominciato. Chamberlain non si faceva illusioni sulla inevitabilità di un prossimo scoppio della seconda guerra mondiale. Egli si rendeva perfettamente conto che la Germania nazista era ormai come un toro infuriato e, nell'interesse dell'Occidente europeo, riteneva desiderabile che il toro tedesco si dirigesse contro l'orso russo, il grande colosso protetto dal generale Inverno e dal generale Spazio, i due grandi e invincibili fattori delle vittorie russe. L'Occidente europeo avrebbe così trovato pace almeno per un'altra generazione assistendo senza impegnarsi alla lotta fra i due giganti. Lo stesso Hitler nel suo Mein Kampf aveva indicato la Russia come la direttrice dell'espansione germanica. Così pensava Chamberlain e io condivido le sue opinioni. È soltanto dopo Monaco e a seguito dell'umiliazione subita a Monaco che la Gran Bretagna si risvegliò e cominciò a pensare che la guerra contro la Germania era un fatto inevitabile. L'inevitabilità del conflitto anglo-germanico è testimoniata dalla garanzia data dall'Inghilterra nel marzo 1939 all'indipendenza polacca. Ricordo che ricevetti il seguente telegramma da parte di Mussolini: «Vostra Eccellenza si rechi immediatamente dal Primo Ministro britannico per fargli presente che la garanzia inglese dell'indipendenza polacca significa una miccia accesa colla quale l'Inghilterra dà praticamente alla Polonia l'iniziativa di una guerra europea. Mi auguro che il governo britannico rifletta sulla gravità di questo gesto e che trovi il modo di evitarne le conseguenze». Risposi a Mussolini testualmente: «Prima di seguire le istruzioni di Vostra Eccellenza, mi sia consentito di esprimere il mio giudizio sul gesto britannico, il quale indubbiamente apre la strada al pericolo di una guerra europea. Il gesto britannico significa una cosa sola e cioè che l'Inghilterra ha già deciso di fare la guerra alla Germania nazista e che la garanzia data alla Polonia deve essere considerata esclusivamente come il pretesto moralistico di cui i governi delle nazioni anglosassoni hanno avuto sempre bisogno per giustificare presso i loro popoli e di fronte all'opinione mondiale una guerra già precedentemente decisa. Attendo conferma istruzioni». Nessuna conferma arrivò.
Il colonnello Beck, ministro degli Esteri di Polonia, si trovava allora a Londra. Lo invitai a pranzo. Era euforico. Bevve molto. Non si stancava di dire con voce concitata: «Le nostre divisioni di cavalleria entreranno presto a Berlino».
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