L'usato è un affare (da 25 miliardi di euro)

Spopolano siti e app per vendere vestiti e accessori di seconda mano. Solo in Italia il settore vale l'1,3% del Pil

L'usato è un affare (da 25 miliardi di euro)

Spesso le grandi invenzioni avvengono per caso. E in posti dove nessuno se le aspetta. Quindici anni fa, nella ex città sovietica lituana di Kaunas, inizia l'avventura di Vinted, una delle piattaforme per la rivendita di vestiti e oggetti di seconda mano che sta contribuendo a cambiare le nostre abitudini di consumo. Merito di Milda Mitkute e del suo guardaroba traboccante di vestiti inutilizzati, che nel 2008 si trovò a dover smaltire in vista di un trasloco a Vilnius. La aiutò un amico, Justas Janauskas, che creò una primordiale piattaforma dove finirono in vetrina i vestiti dell'amica. L'esperimento fu un successo e oggi Vinted ha una media di oltre 37 milioni di utenti attivi al mese. In quegli anni il mercato si è ampliato e se la piattaforma lituana si è specializzata sui prodotti più economici, fioriscono app come la francese Vestiarie Collective (2009) e l'americana The RealReal (2011) che si focalizzano sugli oggetti di lusso. La stessa Vinted ha diversificato in quest'ambito, rilevando l'anno scorso Rebelle per 300 milioni. Prima ancora, ai primordi, nel 1995 era arrivato il sito di aste eBay, che tuttavia non aveva a disposizione smartphone e connessione mobile come spinta propulsiva.

BUSINESS ITALIANO

Il business è anche in Italia. Basti pensare che, per l'edizione 2022 del monitor Second Hand Economy realizzato da Bva Doxa per Subito, sono 24 milioni gli italiani che hanno scelto nel 2022 di acquistare prodotti di seconda mano, per un giro d'affari di 25 miliardi di euro (un miliardo in più di un anno fa, l'1,3% del Pil nazionale).

Tra gli articoli che hanno generato il maggior numero di scambi si trova il mercato dell'auto che si è attestato a 10,6 miliardi. In questo caso, a incidere sono stati gli effetti della pandemia, a partire dalla carenza di microchip e dell'inflazione che hanno spinto molti a scegliere un'auto usata per risparmiare oppure evitare attese infinite. Un trend che si coglie anche dai dati del Centro studi e ricerche di Unrae, il quale segnala che il mercato è cresciuto del 2,2% ad aprile 2023 sullo stesso periodo dell'anno scorso con 363.964 trasferimenti di proprietà.

IL TESORO NELL'ARMADIO

Ma tra i comparti più vitali per i prodotti di seconda mano si trova quello della moda e, in particolare, del lusso che secondo un report di Boston Consulting Group è valutato a livello globale tra i 100 e i 120 miliardi di dollari per le categorie di abbigliamento, calzature, accessori non solo di fascia alta. «Il successo delle piattaforme dipende dal loro modello di business e posizionamento» spiega Francesca Romana Rinaldi, direttrice del Monitor for Circular Fashion della SDA Bocconi e autrice del libro Fashion Industry 2030, «Vinted per esempio ha un target più basso e intercetta un numero di consumatori più elevato.

Vestiarie Collective, invece, si rivolge a una clientela di fascia alta. La chiave del successo del primo sono le commissioni basse associate a un funzionamento semplice. Mentre il secondo ha tra gli aspetti più innovativi il servizio di autenticazione per i capi di maggior valore». Queste piattaforme restituiscono valore a indumenti che non ne avrebbero avuto: «Già da qualche anno Generazione Z (nati da metà anni novanta fino al 2010, ndr) e Millennials (anni 80 e metà degli anni 90) hanno capito che è possibile monetizzare i loro armadi digitali».

In molti imputano il successo di queste piattaforme all'accresciuta sensibilità per l'ambiente, ma non è solo questo. «La prima motivazione che spinge a rivolgersi a queste App è di tipo economico. Si va alla ricerca di risparmio ma anche della possibilità di trarre guadagno da un capo di abbigliamento che non viene più utilizzato», afferma Cecilia Manzo, professoressa di Sociologia Economica all'Università Cattolica di Milano, «A questo segue la voglia di avere un comportamento di consumo più sostenibile verso l'ambiente, che spinge a mettere in vendita un capo, anche a un prezzo molto basso, piuttosto che buttarlo via».

BANCARELLE REALI

La genesi sociologica del fenomeno, però, corrisponde con la riscoperta del vintage e dell'usato sui mercatini fisici, ormai oltre un decennio fa. «Allora prevaleva il valore attribuito al capo rispetto al periodo storico di appartenenza», prosegue Manzo, «il cambiamento più rilevante è avvenuto con l'arrivo delle piattaforme digitali e della sharing economy intorno al 2012. Queste hanno contribuito a cambiare le nostre pratiche di consumo diffondendo l'idea che la proprietà di un oggetto è temporanea, e che la vita di un capo di abbigliamento può continuare anche al di fuori delle nostre case. La rivoluzione delle piattaforme sta nel mettere in contatto diretto persone che hanno un bene da vendere con coloro che sono interessati ad acquistarlo, raggiungendo un'espansione degli scambi fino a poco tempo fa impensabile».

Il mercato della seconda mano attira sempre di più i grandi marchi. Per esempio, il gruppo del lusso Kering ha comprato il 5% di Vestiaire Collective. Il progetto Gucci Preloved, sempre in collaborazione con la piattaforma francese, mette in vendita le borsette di seconda mano con l'intento dichiarato di rendere la moda circolare.

Il marchio britannico del lusso Burberry, invece, ha già sperimentato un progetto pilota con The RealReal: in pratica, ha messo sul piatto un incentivo per nuovi acquisti in 18 punti vendita americani ai clienti che avrebbero messo in vendita capi della griffe sulla piattaforma. «È interessante osservare come i grandi marchi ancora tendano a non gestire direttamente i capi usati», osserva Rinaldi, «forse perché ritengono che prima sia necessario imparare il mestiere o attendono che il mercato sia più maturo per l'acquisto di capi usati. I crescenti investimenti sulla tracciabilità del prodotto saranno un importante facilitatore della circolarità dei capi, inclusi i capi usati. Il passo successivo sarà lavorare sugli incentivi economici ai consumatori per estendere la vita dei capi».

Il famoso marchio di jeans Levi's permette ai clienti di lasciare i loro capi in negozio in cambio di una carta regalo, i loro vecchi vestiti invece saranno rivenduti. Le aziende sono orientate verso queste iniziative per vari motivi. Secondo il Monitor for Circular Fashion 2022 della SDA Bocconi, infatti, il 72% delle nuove generazioni (Millennials e Gen Z) si dice disposto a cambiare le proprie abitudini di consumo per proteggere l'ecosistema.

E il 53% ritiene fondamentale per l'immagine di un brand che si impegni concretamente per migliorare le proprie pratiche sostenibili. Un altro aspetto è che, in qualche modo, il mercato del riuso possa erodere il mercato degli abiti nuovi.

«Questo potrebbe accadere, se pensiamo alla fascia più bassa del mercato come quella del fast fashion», prosegue ancora Rinaldi, «ma è soprattutto un'opportunità. Il riuso può attrarre il consumatore nei negozi, la riparazione dei capi può essere un ottimo modo per fidelizzare il cliente e avvicinare i giovani. Insomma, le aziende dovranno implementare un approccio olistico. Potremmo trovare nei negozi prodotti nuovi e usati, ma anche un'area dedicata per restituire, riparare i capi o magari prenderli in affitto».

Già oggi esistono piattaforme italiane per affittare accessori e indumenti: da Dress You Can, dove l'utente può comporre il suo abbigliamento da sogno e noleggiarlo, a Sisterly, una piattaforma dove si prendono in prestito borse di lusso. Anche ShareMyBag permette di affittare abiti e accessori dai vari partecipanti alla community: la valenza è doppia, ci si veste bene e a poco prezzo e, se si vuole, si guadagna dai noleggi. L'azienda Twinset ha lanciato una piattaforma specifica: si chiama Pleasedontbuy, dove si possono affittare capi per qualsiasi occasione.

«Il mondo della produzione è momentaneamente escluso da questi mercati online.

Alcune aziende però stanno andando verso la vendita dell'usato», aggiunge Manzo, «Zalando ha dedicato una parte del suo e-commerce alla vendita dell'usato e lo stesso stanno facendo Decathlon e Ikea nei negozi fisici, permettendo al cliente di rivendere gli oggetti che ha acquistato in

quella catena. Sarà interessante osservare se i consumatori sono disponibili a cedere uno spazio di mercato che attualmente governano attraverso scambi tra pari». Tutta questione di convenienza e di qualità dei prodotti.

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