«Macché rinnovamento Veltroni recita bene ma è un politico vecchio»

L’ex segretario della Dc scettico sul leader del Pd: si è evoluto, però si affida all’abilità tattica che ha imparato ai tempi del Pci

da Roma

I cosiddetti «democratici» nel Piddì veltroniano; tanti altri, compresi quelli vicini a Cl, con Forza Italia; ma poi anche nell’Udc, nell’Udeur, nella Rosa bianca, nel movimento anti-abortista di Ferrara, tra i finiani e i socialisti di Boselli, nella Destra di Storace... Come dire? Non è che manchi l’offerta per chi si dichiara cattolico in questo Paese. Strano o no? Arnaldo Forlani - gran democristiano doc di lungo corso con svariate, importanti, esperienze - replica placido all’osservazione: «Dopo lo scioglimento della Dc, dovuto al mutare degli scenari internazionali e a ragioni storiche, non è più così forte l’esigenza dell’unità dei cattolici. E allora è forse naturale che si moltiplichino i rivoli di una esperienza che definirei grandiosa...».
Non è che esagera un tantinello nel ricordarla?
«La capacità di frenare il comunismo, la crescita dello sviluppo fino a portare l’Italia tra i sette grandi della Terra, l’ammodernamento del Paese, la stessa costruzione dell’Europa sono o no i frutti di un cinquantennio di governi fatti dalla Dc e dai suoi alleati? Vedo che oggi c’è chi dice che nella Prima repubblica non c’era il bipolarismo. Clamoroso errore! C’era eccome: da una parte chi stava con Mosca, dall’altra chi gli si opponeva».
Beh, oggi la situazione le parrà cambiata. O no?
«Beh, certo, caduta la cortina di ferro, a sinistra hanno dovuto cambiare, accettando la via della socialdemocratizzazione. Questo mi pare indubbio, anche se certe persone son sempre lì, ieri come oggi. Sarà che anche nella vita si cambia, col passare dell’età. Per scelte sincera o magari solo per opportunismo».
Veltroni in realtà si presenta come il «nuovo»...
«Sì, ho visto. Ma continuo a pensare che sia un vecchio, almeno come politico, scelto perché bravo a recitare la scena. Indossa abiti moderni e si spaccia per una novità. Ma in fondo che c’è di diverso rispetto a prima? Solo una rottura con la sinistra radicale, magari non perché ci si creda, ma perché si è probabilmente pensato sia una scelta che gli giova. Insomma, i dirigenti dell’ex Pci si saranno anche evoluti e hanno come sempre grande intelligenza tattica, ma continuano a voler mettere assieme tutto il possibile. Già marciano assieme a Di Pietro e ai radicali. E voglio vedere poi se non troveranno una qualche desistenza con la Sinistra arcobaleno al Senato o se, dopo il voto, non cercheranno nuovi accordi con alcuni dei massimalisti eletti, visto che nel centro-destra, che fino a qualche tempo fa aveva tutto per vincere, hanno deciso di marciare separati...».
Mi par di capire che lei non è d’accordo col mancato accordo tra Pdl e Udc...
«Dico la verità: non mi aspettavo che una volta fatto il patto con Fini, Berlusconi fosse così drastico con Casini e trovo ancor più strano che abbia concesso alla Lega quanto non ha voluto dare invece all’Udc. È vero: c’erano state frizioni, ma poi a quel che mi è parso di aver captato, tutti e quattro i soci fondatori della Casa delle libertà erano tornati a riconoscere il ruolo particolare, e dunque la leadership di Berlusconi. Perché allora rinunciare all’apporto di una formazione che incarna, più delle altre, quell’eredità democristiana che in tanti oggi rivendicano?».
Forse perché in molti sono stufi dei partitini che si aggregano elettoralmente ma poi cominciano operazioni di ricatto continuo...
«Nelle coalizioni, e io ne ho vissute tante, è più che scontato ci possa esser dialettica. Certo: ai miei tempi c’era più... garbo. Più capacità di discutere. Oggi lo si fa meno, ma non vorrei che la strada alternativa alla mediazione porti alla catastrofe... Sì, a un vero e proprio naufragio istituzionale, visto che già si ritiene di essere alla fine della Seconda repubblica e che l’antipolitica continua a montare».
Lei cosa suggerirebbe per evitare questo crac che vede all’orizzonte?
«Vorrei che Berlusconi e Casini ripensassero il da farsi. L’ex premier, in quanto più anziano, potrebbe prendere l’iniziativa: in politica, tante volte la forma è sostanza. Casini poi - che all’epoca della mia segreteria, avevo messo a dirigere la Spes, e cioè l’ufficio di propaganda, e che mi pareva intelligente e garbato - dovrebbe fare a sua volta capire che è interessato a un nuovo incontro con gli alleati di tanti anni... Io continuo a sperare che non corrano separati. Possono rischiare una vittoria che pareva senza ombre di alcun tipo fino a pochi giorni fa».
E di De Mita fatto fuori dal Pd, che dice?
«Che per altri con tante legislature alle spalle hanno fatto eccezioni... Perdono un elemento utile.

Ma la verità è che si predica il rinnovamento mentre in realtà sono in troppi a voler rendere la politica artificiosa, teatrale. Io di rinnovamento in giro non ne vedo proprio: semmai solo spinte regressive e di degrado».

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