Novanta minuti di autunno caldo. Lo sciopero dei miliardari del pallone è una di quelle cose che, distinto, fa venire lulcera a chi fatica ad arrivare a fine mese. La questione è: si sciopera per tutelare un diritto o coccolare un privilegio? Limpressione è che i calciatori siano finiti in fuorigioco. Non solo perché hanno sbagliato i tempi. Il confronto con il vecchio Trap è inclemente. Il ct su certe cose forse ragiona ancora da mediano. Quando (...)
(...) ha visto lIrlanda in ginocchio, costretta a elemosinare prestiti a mezzo mondo, non se lè sentita di fare lo straniero che pensa solo al proprio portafoglio. E ha detto: io mi taglio lo stipendio. Via centomila euro dalla busta paga. È un segnale di solidarietà in tempi di austerity. Non risolve la crisi, ma dà una mano alla federazione.
LItalia non sta come lIrlanda, ma anche da noi il tempo è brutto. I presidenti si sono resi conto, troppo tardi, che la stagione delle vacche grasse è finita da un pezzo. Non riescono più a pagare rose abbondanti con giocatori che entrano in campo solo in caso di epidemia, tipo «maledizione Benitez». Non è più il tempo. Le tribune affollate di campioni e mezzi campioni sono un lusso che neppure Moratti può più permettersi. La risposta è stata questa: un calciatore non può rifiutare il trasferimento a una squadra di pari livello e con lo stesso stipendio. Non è insomma la Siberia. Ma per i signori degli stadi è una sorta di schiavitù. Il caso più noto è quello di Grosso, che non ha detto no al Bari ma al Milan. Il terzino campione del mondo si è impuntato e non cè stato nulla da fare. Alla fine è restato alla Juve, magari per stare vicino al mare...
Il punto è qui. È schiavitù mettere in un contratto stramilionario una clausola di flessibilità? Non si parla di stipendio, ma di giocare un paio danni a Milano invece che a Torino. È una bestemmia? A quanto pare sì. Ma è anche uno schiaffo a tutti i precari che, pur di lavorare, si spostano con uno stipendio da quattro soldi. Quando si parla di poveri cristi la flessibilità è una risorsa. Ma se cè di mezzo Ibra o Borriello, Santon o Acquafresca allora si calpestano i diritti umani. Strana logica. Lobiezione in questi casi è che non tutti i giocatori sono superpagati, ci sono anche miseri professionisti con la carriera breve che a 35 anni si ritrovano senza prospettive. Vero. Infatti questa clausola si applica solo alla seria A. Se arrivi nella massima serie non hai problemi a vivere di rendita. Ma non è questo il problema.
È il calciatore che si rifugia fuori dal mondo. Lo sport raccontato come se fosse una condanna ai lavori forzati. I capricci di chi vuole restare in una certa città perché lì ci sono le tv o i locali giusti.
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