
Ci sono pesci di de Pisis, Carrà, De Chirico, i pani, le uova che sono quasi indistinguibili «perché da Piero della Francesca a Piero Manzoni sono sempre uguali». Emi Ligabue mette il suo tocco contemporaneo alla mostra «Bold! Declinazioni tipografiche Campari: Munari, Depero e oltre», con una serie di lavori consonanti allo stile quotidiano e ironico, rigoroso e intriso di fantasia, che la caratterizzano come artista.
La nuova project room «Magazzini Novecento» è stata interamente realizzata da lei, che si definisce «un'enfatista» (con riferimento all'enfatismo, movimento apparso nel 1981), per arricchire la mostra che rimarrà aperta al pubblico fino al 30 giugno alla Galleria Campari di Sesto San Giovanni.
I suoi lavori dialogano con la mostra «Bold!» che raccoglie i lavori di importanti artisti sul marchio Campari perché il periodo su cui Ligabue lavora è il medesimo, «anche se la mia è una scelta di natura totalmente artistica, mentre i materiali esposti in "Bold!" appartengono alla storia della grafica e dell'illustrazione».
È Emi Ligabue a accompagnare lungo la mostra: «È come un catalogo o un negozio. È una serie che ho realizzato nei primi anni Duemila, da allora era stata esposta a Bologna e poi non è stata più vista. Nel lavoro grande, molto colorato, nella parete centrale, "Scolate del Novecento", ho raccolto tante bottiglie, che vengono da nature morte, ma anche da ritratti. Infine la parete che contiene oggetti fatti apposta per la mostra».
Quando Marta Sironi, che ha già allestito «Bold», ha conosciuto il lavoro, ha pensato che fosse perfetto per allestire lo spazio contemporaneo dell'esposizione «perché è molto affine come clima e come approccio artistico», spiega ancora Emi Ligabue. Aggiunge: «Lo spirito è di andare per cataloghi, per archivi, e isolare quel che serve per tenere insieme il discorso. Uso materiali che isolo e poi ricompongo in un'opera che è mia». Diversa da tutte le altre.
I lavori sono «un'indagine sugli oggetti nell'arte del Novecento o una storia dell'arte vista dal punto di vista degli oggetti. Con un concetto chiaro: estrapolare questi elementi e ricomporli come categorie merceologiche, per questo l'ho voluta chiamare "Magazzini". Un altro senso è anche pensare a un backstage dei set allestiti dagli artisti».
Tutto tranne che un lavoro puramente di recupero del passato, perché si tratta di inserirsi in una tradizione: «Se uno indaga a fondo, le scodelle di Casorati stanno anche nei quadri di altri artisti del periodo: è come se tutti abbiano attinto allo stesso repertorio. Morandi con le dieci bottiglie di casa ha costruito una storia».
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