Le sue dichiarazioni seminano disagio. Dice Armando Spataro conversando con Panorama : «La prego: non chiamiamolo terrorismo islamico. La religione islamica non prevede affatto l'uso della violenza e del terrore... e solo chi pratica la follia criminale del terrorismo lo sostiene». Sarà solo una cautela semantica in tempi difficili? No, e la controprova arriva dal battibecco successivo, questa volta con il Giornale . Il procuratore di Torino ripete lo stesso concetto, adagiandolo sui velluti del politically correct : «Raccomando di chiamarlo cosiddetto terrorismo islamico e non terrorismo islamico».
Che abbaglio. Spataro è una sorta di monumento nella lotta all'eversione, è stato in prima linea negli Anni di piombo quando ci voleva un certo coraggio ad uscire dall'anonimato, ha un curriculum corazzato e dunque stupisce che proprio lui annacqui ora la sua lucidità in un pensiero infarcito di premesse, postille e nota bene. Ma questo è solo l'incipit perché il magistrato insiste: «Ed aggiungo che lo chiesero vari anni fa, ai magistrati europei, nell'ambito di un programma di studio della N.Y. University, colleghi ed investigatori delle aree extraeuropee interessate da quel terrorismo. Essi sottolinearono che solo un'interpretazione distorta e strumentale dei principi della religione islamica induceva quei criminali a proporsi come i veri eredi dell'islamismo puro». Per Spataro quella lezione a stelle e strisce, peraltro datata, basta e avanza per chiudere la questione e per autoimpigliarsi nella rete a maglie fitte dei distinguo, dei ma e dei se. Lui s'inchina a quella domanda: «Una richiesta che tutti noi europei accogliemmo, consapevoli di quanti crimini, nei secoli scorsi, siano stati compiuti in nome delle religioni». Dal politicamente corretto al politicamente correttissimo. Invece di procedere per fermare il contagio, il magistrato si volta all'indietro. Scruta la storia, esamina il passato, finisce che invece di prendere le misure alle formazioni combattenti che vogliono introdurre la sharia si attorciglia idealmente sulle crociate, le streghe e i roghi. Siamo noi occidentali a doverci giustificare, o quasi, per i nostri eccessi, i crimini, gli errori. I cosiddetti terroristi islamici sono un fungo maligno che niente ha a che fare con la luminosa civiltà della mezzaluna.
Inarrestabile, il procuratore vira ancora e costruisce un ponte che ondeggia paurosamente fra l'Isis e, nientemeno, l'Ira, mettendo in qualche modo in relazione conflitti lontanissimi: «Cito sempre gli attentati dell'Ira irlandese che nessuno ha mai definito atti di terrorismo cattolico». Certo, si potrebbe replicare, l'Ira mirava anzitutto a staccare quel pezzo di isola dalla dominazione inglese. Che c'entra dottor Spataro l'Ira con l'Isis?
Il magistrato non si accorge che quelli che predicano la jihad e mandano a morte i kamikaze lo fanno in nome di Allah. E cucina un'insalata russa, indigesta, utilizzando come ingredienti la storia e la geografia, mischiando latitudini e culture diverse. Questa balbuzie semantica colpisce chi non vuole vedere e questo è particolarmente grave per chi deve combattere il nemico alle porte. Scatta sempre lo stesso pregiudizio, quello che vede la luce dove la luce non c'è. Una malattia assai diffusa in Occidente. Lo si è visto in occasione della mattanza di Tunisi: in quell'occasione i giornalisti indossano i guanti cuciti in tanti anni di pensiero debole, prono, quasi sottomesso. Così, in prima battuta tutti o quasi scrivono e dicono che i soliti «cosiddetti» terroristi islamici avrebbero voluto colpire il Parlamento ma poi sono stati costretti a ripiegare e ad uccidere loro malgrado, gli sfortunatissimi turisti. Poveretti, avevano un'altra idea, in un certo senso più nobile, non sono riusciti a tradurla nella realtà.
Non è vero, si è capito che quei macellai volevano ammazzare i «crociati» sbarcati dalle navi in crociera. E però si è accreditata la versione meno dirompente, quella che stride di meno e sconvolge meno la nostra sensibilità. Ad ogni attentato, ad ogni obiezione, ad ogni esecuzione si cercano a tentoni spiegazioni cervellotiche, contorte, problematiche. Si sonda una qualche, improbabile interpretazione invece di capire com'è andata.
Spataro sembra riproporre quarant'anni dopo, fatte le debite proporzioni, la stessa non consapevolezza, la stessa amnesia collettiva che colpì la sinistra quando le Brigate rosse, quelle che lui ha contribuito a sconfiggere, cominciarono a sparare. Opinionisti e intellettuali s'ingegnavano in tutti i modi e si contorcevano come serpenti per dimostrare che non si trattava di terrorismo rosso, ma di sedicenti, oggi si direbbe cosiddetti terroristi rossi, o di fascisti travestiti o di altri camaleonti pronti a giocare con i colori e le nostre vite indifese. Un equivoco disastroso e sciagurato che fu poi sconfitto dalla realtà. All'ennesima stella a cinque punte, all'ennesima citazione marxiana sulla lotta del proletariato, all'ennesimo richiamo al movimento operaio qualcuno aprì gli occhi incrostati nel pregiudizio e vide. Scoprì quel che era evidente. Rossana Rossanda colmò il ritardo parlando finalmente dell'album di famiglia con le figurine di Stalin e Zdanov. Un album in cui purtroppo c'erano anche pagine di sangue.
Seguire questo ragionamento oggi non vuol dire che tutto l'islam sia una piovra del male o evocare la guerra fra civiltà. Semmai, come intendono molti studiosi, significa riconoscere che c'è uno scontro in quel mondo e che l'islam ha un problema, chiamiamolo così, con la modernità. Nascondersi dietro formule di cortesia, duellare con la sintassi e svuotare di comprensione le tragedie contemporanee non è il modo migliore per sconfiggere il nemico alle porte.
Intendiamoci, nemico anche di quei musulmani che sono morti, vedi Charlie Hebdo , per difendere la nostra libertà. È davvero inquietante che Spataro, fra i primi a chiamare rosso il rosso a cinque punte, sia diventato daltonico proprio ora e non si accorga delle sfumature luttuose che arrivano dall'altra sponda del Mediterraneo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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