La via giudiziaria alla politica

In quelle ore cruciali intorno a Ferragosto, Conte e compagni scaricano un Salvini sempre più isolato e in rotta con la sua ex maggioranza. È un fatto politico, diventa ben presto un argomento giudiziario, superando con una certa disinvoltura una barriera fin lì invalicabile

La via giudiziaria alla politica
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Ci sono i pm che vanno all'attacco di Salvini: «I diritti umani vengono prima di tutto», spiega il procuratore aggiunto Marzia Sabella nell'aula bunker di Palermo. E sulla violazione dei diritti umani la procura di Palermo spara una richiesta senza precedenti: sei anni di carcere per Matteo Salvini. Lui viene dipinto come una sorta di aguzzino, piazzato al ministero dell'Interno. La Open Arms, in stallo per diciannove giorni nelle acque di Sicilia, viene raccontata come una specie di lager a cielo aperto. Meno di un metro quadro a testa, per i migranti stipati all'inverosimile sull'imbarcazione, casi di scabbia, un poveraccio col timpano rotto, disperati che si buttavano in acqua. E due bagni per 147 profughi, in condizioni igieniche disastrose. I pm demoliscono il Viminale e non mostrano l'altra faccia della luna: non dicono, ad esempio, che chi stava male veniva autorizzato a scendere. Il medico di bordo certificava le precarie condizioni di salute e quella persona veniva portata via. Infatti i 147 erano ridotti a 83 il 20 agosto, giorno dell'epilogo di questo braccio di ferro. I pm però rappresentano l'accusa in quel labirinto di norme, regole, trattati internazionali e poi calcano dettagli e sfumature che come sempre fanno la differenza. La nave, come ipotizzato a Roma, aveva un appuntamento con gli scafisti e dunque teneva un atteggiamento «non inoffensivo», insomma in base al decreto sicurezza bis, non un capriccio, poteva e doveva essere fermata? Siamo al cuore del problema, il peccato originale di tutta questa storia. Quei decreti e la linea dura di Salvini erano figli delle politiche del governo Conte I. Come arginare i flussi inarrestabili dei profughi? «Prima redistribuiamo, poi sbarchiamo», ripete come un mantra Salvini in quelle settimane. Rebus allora, rompicapo oggi, anche se i numeri sono in discesa. L'Europa faceva finta di niente, o interveniva col contagocce, lasciando sulle spalle di Paesi come l'Italia l'immane compito di dover fronteggiare quelle ondate. «Prima si sbarcano i profughi, poi si redistribuiscono», afferma ora la procura, gonfiando il capo d'imputazione. E mandando a processo la politica anche se, con un calembour involontario, i pm dicono che questo non è un processo politico.

Affermazioni che sono capriole coraggiose. Se si va in archivio, salta fuori una dichiarazione dell'allora premier Giuseppe Conte in versione salviniana: prima la redistribuzione, poi la discesa a terra. Conte e Salvini avevano la stessa posizione. Erano tutti allineati, e con loro anche i ministri che in questi mesi sono stati sentiti in aula e hanno preso le distanze dal Capitano della Lega: Elisabetta Trenta, Danilo Toninelli, lo stesso Conte.

La frattura si apre, combinazione, solo in quei giorni di agosto 2019, i giorni del Papeete, i giorni in cui il Conte I si sfascia e va in archivio, i giorni in cui il premier prepara la piroetta acrobatica che lo porterà al Conte 2.

In quelle ore cruciali intorno a Ferragosto, Conte e compagni scaricano un Salvini sempre più isolato e in rotta con la sua ex maggioranza. È un fatto politico, diventa ben presto un argomento giudiziario, superando con una certa disinvoltura una barriera fin lì invalicabile. E invece nel giro di valzer di un anno, nel 2020, in pieno Conte 2, il Senato autorizza la magistratura a mettere sotto processo Salvini. Con 149 voti a favore, Pd e 5 Stelle in testa. Pollice verso.

È la grande anomalia di questa vicenda: invece di chiarire dentro il Palazzo norme e regole di ingaggio, si lascia che siano pm e giudici a valutare l'operato di Salvini portandolo sul terreno scivolosissimo del codice penale. Con il titolare del Viminale che viene tratteggiato come un criminale e la sua diventa una foto segnaletica che fa il giro del mondo.

Con la

Diciotti era andata in un altro modo: i 5 Stelle si erano schierati con Salvini e il Senato aveva acceso il semaforo rosso. Ma allora Salvini e Conte erano alleati. E Conte non si era ancora affidato alla via giudiziaria.

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