L'autonomia da trovare è quella della politica

Lo strapotere dei magistrati e l'eterna lotta contro la politica

L'autonomia da trovare è quella della politica
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Enigma. È sano un paese dove la magistratura è in guerra con la politica da più di trent'anni? Fino a che punto è tollerabile lo scontro? Che cos'è la magistratura italiana secondo la Costituzione? Che potere ha chi è soggetto soltanto alla legge ma può prevaricare colui che la legge la scrive? Secondo l'articolo 104 della Costituzione: «la magistratura costituisce un ordine autonomo indipendente da ogni altro potere». Sempre secondo la Costituzione: «La giustizia è amministrata in nome del popolo e i giudici sono soggetti soltanto alla legge (Art. 101)». Anche la politica ha la sua investitura popolare perché «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato (Art. 67)».

Politica e giustizia sono due strumenti attraverso i quali il popolo esercita la sovranità. Ma perché la magistratura e la politica sono in guerra dal 1992? Le indagini di Mani Pulite distrussero la Prima Repubblica, minacciando un passaggio di potere antidemocratico. L'indignazione popolare travolse la classe dirigente, che stava per essere sostituita da un'opposizione legata ai nostri avversari della guerra fredda terminata nel 91. Il tentativo di resistere a questo esito eversivo portò alla nascita del centrodestra e del bipolarismo. Lì inizia il vero scontro tra politica e magistratura, e la ferita di quel tempo non si è ancora rimarginata. Nessuno contesta che l'indipendenza della magistratura sia un bene. Questo garantirebbe il buon funzionamento della giustizia. Tuttavia, con le garanzie di indipendenza dei magistrati italiani, ci aspetteremmo una giustizia così eccellente da far invidia al resto del mondo. La realtà è l'esatto opposto. Questa indipendenza sembra impiegata proprio male e, se anche la giustizia è formalmente amministrata in nome del popolo, di certo non lo è nel suo interesse. A rimetterci è il cittadino che perde il suo diritto più importante, quello di far valere i suoi diritti, che, vista la durata dei processi, contano sempre meno. Forse l'errore è stato credere nell'autoregolamentazione della magistratura che ha portato alla creazione di correnti utili alla carriera. Inoltre, svariate inchieste risultate del tutto infondate hanno delegittimato la politica. La vittima è sempre il cittadino che perde fiducia nelle istituzioni. Infatti, Calamandrei affermava che: «Una delle offese che si fanno alla Costituzione è l'indifferenza alla politica» e sosteneva anche che: «I giudici son come gli appartenenti a un ordine religioso: bisogna che ognuno di esso sia un esemplare di virtù, se non vuole che i credenti perdano la fede». Che rispetto possiamo avere nelle leggi se chi le scrive è disprezzato di continuo? Oggi, chi è soggetto soltanto alla legge può delegittimarla attaccando chi la scrive. Ed è il sintomo di quanto mal si tolleri di essere soggetti alle norme nonostante i privilegi.

La responsabilità civile dei magistrati, senza la possibilità di poterli chiamare in giudizio direttamente ma dovendo far causa allo Stato, è un privilegio che li pone al di sopra dei nobili dell'Ancien Régime. Questi almeno accettavano di essere giudicati da una giuria di loro pari. L'indipendenza dei magistrati non può neppure diventare uno strumento di destabilizzazione della politica. Basti pensare che un'oligarchia o una potenza straniera potrebbe provare a corrompere o ricattare uno dei tanti pubblici ministeri per far cadere un governo o metterlo in difficoltà.

Forse la separazione delle carriere spaventa la magistratura, che teme il controllo del popolo più di quello dell'esecutivo, e così la riforma diventa un'altra ragione di scontro. Invece dovrebbe essere l'occasione per concludere il conflitto irrisolto tra questi due poteri dello Stato e proteggere la loro indipendenza. Perché oggi, l'indipendenza da garantire con più urgenza è quella politica.

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