
«Uno Stato membro può designare Paesi di origine sicuri mediante un atto legislativo, i giudici lo devono rispettare o documentare con fonti perché il Paese non è sicuro per il singolo migrante». Lo dice l’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Ue, Richard de la Tour durante la causa davanti ai giudici del Lussemburgo che devono valutare il ricorso di alcuni migranti trasferiti nell’hotspot di Gjader in Albania, in applicazione del protocollo per l’esame delle domande d’asilo con procedura accelerata dei migranti maschi, maggiorenni e in buona salute provenienti dai Paesi sicuri e salvati nel Mediterraneo dalle nostre navi militati. Per il Tribunale di Roma e di altre città la legittimità dei fermi disposti nei loro confronti sarebbe messa in discussione da una sentenza della stessa Corte Ue del 4 ottobre scorso, che darebbe ai giudici il potere di opporsi alla definizione di «sicuro» data dall’esecutivo - in particolare Egitto e Bangladesh - e quindi disinnescare così il provvedimento del governo, con sentenze fotocopia e non calate sul singolo caso del richiedente senza diritto d’asilo.
I giudici possono farlo? Secondo l’avvocato de La Tour, i cui pareri non sono vincolanti per la sentenza finale dei giudici di Lussemburgo, sebbene diano loro un orientamento, «il giudice nazionale chiamato a esaminare un ricorso avverso il rigetto di una domanda di protezione internazionale deve disporre, nell’ambito dell’esame sulla legittimità di tale atto, delle fonti di informazione che sono servite da base per tale designazione. Infatti, la mera circostanza che un Paese terzo sia designato come Paese di origine sicuro mediante un atto legislativo non può avere la conseguenza di sottrarlo ad un controllo di legittimità, salvo privare di qualsiasi efficacia pratica la direttiva». Dunque l’Italia «deve divulgare, a fini di controllo giurisdizionale, le fonti d’informazione su cui si fonda tale designazione. In assegna di tali fonti di informazione da parte del legislatore - prosegue il legale - l’autorità giudiziaria competente può controllare la legittimità di una siffatta designazione sulla base di fonti di informazione da essa stessa raccolte tra quelle menzionate nella direttiva».
Ma in generale l’avvocato della Corte Ue ritiene che la normativa europea «non vieti a uno Stato membro di considerare un Paese terzo come «Paese d’origine sicuro», anche se per alcune categorie di persone quel Paese non lo è», che invece è la motivazione usata dalle sezioni Immigrazione e delle Corti d’Appello per ostacolare il protocollo.
«Questa possibilità - viene precisato - è possibile solo se, da un lato, la situazione giuridica e politica del Paese in questione riflette un sistema democratico che assicura alla maggior parte della popolazione una protezione stabile contro persecuzioni o gravi violazioni; e, dall’altro, se lo Stato membro «esclude espressamente quelle categorie» vulnerabili «dall’applicazione» dello status di Paese d’origine sicuro «e dalla presunzione di sicurezza» che esso comporta. Quindi, nel caso di Egitto e Bangladesh, se i richiedenti asilo sono vittime di discriminazioni hanno diritto, altrimenti no.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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