Pensiamo alle coste, non ai tribunali

La sua lettera mi ha fatto venire in mente un modo di dire: "La legge si applica ai nemici e si interpreta per gli amici"

Pensiamo alle coste, non ai tribunali
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Gentile direttore,
ho ascoltato con un certo stupore su La7 la tirata di Massimo Cacciari riguardo la sentenza di Catania che non conferma il fermo di quattro tunisini, due dei quali già espulsi. Il filosofo sostiene che le leggi non sono immediatamente (?) applicate e che politici ignoranti pensano che il giudice sia l'esecutore di quello che è scritto nelle leggi. Anche io sono ignorante in tema di giustizia e penso sia compito del giudice applicare la legge. Le chiedo un parere sull'argomento rinunciando, se possibile, all'aria rarefatta della filosofia in favore della banalità della vita quotidiana.
La ringrazio.
Gianfranco De Santis

Caro Gianfranco,
come te non amo perdermi nelle disquisizioni dal contenuto filosofico o filosofeggiante, la ritengo una operazione non soltanto terribilmente noiosa ma anche inutile. Per addormentarmi preferisco bere una camomilla. Spesso tali elucubrazioni sono solamente uno sfoggio di erudizione, quindi qualcosa di sciocco e vano. Peraltro i cittadini, le persone come noi, i comuni mortali chiedono chiarezza, parole semplici, affermazioni limpide, nessun giro di parole, nessuna arrampicata sugli specchi, altrimenti cambiamo canale o pagina.

Non la tedio ulteriormente, andiamo dritti al punto. La sua lettera mi ha fatto venire in mente un modo di dire: «La legge si applica ai nemici e si interpreta per gli amici». Lungi da me il sottintendere che i tunisini espulsi fossero amici del giudice che ne ha esclusa la detenzione all'interno del centro di permanenza per il rimpatrio, desidero soltanto sottolineare un aspetto fondamentale di cui spesso ci dimentichiamo: la legge può e deve essere interpretata dai giudici, ovviamente senza che essi calpestino le rigide norme costituzionali o si discostino dal testo. Da qui la considerazione universale della giurisprudenza come qualcosa che a sua volta genera «precedenti giuridici» cui attenersi, che non sono leggi bensì interpretazioni dei giudici che si sono già espressi su casi analoghi. Non posso non puntualizzare che accade sovente che i testi legislativi siano scritti male, in modo ambiguo, diciamo pure «con i piedi», dal legislatore, in questi casi l'interpretazione del giudice è non solo lecita ma anche indispensabile. E ripeto: non mi riferisco al caso specifico.

Negli attacchi frontali alla magistratura spesso individuo molto ideologismo nonché pregiudizio e persino ignoranza. Non nego esistano le correnti all'interno della categoria e che queste facciano sentire il loro peso, nuocendo alla giustizia e alla domanda di giustizia. Tuttavia, credo e confido in una magistratura soprattutto libera e indipendente, onesta, che decide secondo diritto e secondo coscienza.

Sembra quasi che la colpa della immigrazione di massa non gestita da decenni sia da attribuire ora a questa togata del tribunale di Catania che è stata individuata quale nemica del popolo italiano. Ma ella, nella indipendenza riconosciuta alla sua funzione, ha espresso un giudizio sotto forma di sentenza, ha compiuto il suo dovere, che ci piaccia o meno. Non mi allettano le esecuzioni in pubblica piazza e di sicuro non giova creare un conflitto tra governo e magistratura, tra due dei poteri dello Stato.

Penso che non si possa scaricare sulla magistratura la responsabilità di un fenomeno che non gestiamo da lustri, quello migratorio. Dobbiamo difendere i confini, come fanno anche gli altri Stati europei, e impedire quella che è a tutti gli effetti una invasione.

Non possiamo immaginare di prosciugare l'oceano di persone che abbiamo incamerato eliminando l'acqua con il cucchiaino, ossia facendo solo i singoli rimpatri, quando possibile e ove possibile, oppure rinchiudendo nei Cpr migliaia e migliaia di individui per un tempo determinato.

Il problema non è nei tribunali e non si risolve lì, ma sulle coste italiane, anzi nel nostro mare territoriale. Ai nostri confini.

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