Processo Ruby senza fine. Accanimento su Berlusconi

La Cassazione dispone il rinvio alla Corte d'Appello. Cade la falsa testimonianza, corruzione in atti giudiziari per 22 imputati

Processo Ruby senza fine. Accanimento su Berlusconi
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«In concorso con Berlusconi Silvio»: questo starà scritto nel capo d'accusa con cui tra qualche mese la Corte d'appello di Milano celebrerà il processo a ventidue donne, entrate nella cronaca come «Olgettine» quando avevano tredici anni in meno. Ognuna ha preso strade diverse, qualcuna si è sposata e ha fatto figli: come Kharima el Mahroug alias Ruby, che diede il nome all'inchiesta della Procura di Milano. Credevano di essersela buttata alle spalle. Invece ieri la sesta sezione della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso della Procura, annulla l'assoluzione che era stata emessa a Milano.

Le ventidue signore erano accusate tutte di corruzione e falsa testimonianza, il secondo reato intanto si è prescritto, l'imputazione più grave è ancora in piedi e lo resterà a lungo (per alcune, fino a oltre il 2030). La Procura di Milano tornerà ad accusare le Olgettine di avere mentito, quando - interrogate nel primo processo a Berlusconi per il caso Ruby - giurarono di non avere mai visto scene a luce rossa nella villa di Arcore. Di avere mentito a pagamento: soldi promessi e versati da Silvio Berlusconi.

Di fatto, a sedere in effige sul banco degli imputati nel processo che si annuncia ci sarà anche lui, l'ex premier, morto il 12 giugno dell'anno scorso. Esattamente un mese prima, il 13 maggio, erano state depositate le motivazioni della sentenza che lo assolveva dall'accusa di avere corrotto le testimoni: perché quelle, diceva la sentenza del tribunale di Milano, non erano testimoni ma persone sottoposte a indagini, che avrebbero avuto il diritto di tacere, di avere un difensore, financo di mentire. Non esistevano quindi né il reato di falso né quello di corruzione: il processo «Ruby ter», scrissero i giudici, non avrebbe dovuto neanche iniziare.

Per la Procura fu l'ennesima disfatta sul caso Ruby, dopo che Berlusconi era stato assolto nel filone principale. I pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, ovviamente, si preparavano a fare ricorso. Ma quando il Cavaliere morì la Procura si trovò davanti a un dilemma. Lasciar perdere tutto, riconoscendo implicitamente che l'unico vero obiettivo era il leader di Forza Italia, e che morto lui non aveva più senso andare avanti? O ostinarsi e fare ugualmente ricorso, sapendo che un nuovo processo alle ex-ragazze si sarebbe trasformato di fatto in un processo post mortem al Cavaliere?

La scelta alla fine fu la seconda, puntando direttamente sul ricorso in Cassazione. Ieri arriva la vittoria, e nella sala stampa del palazzo di giustizia milanese si affaccia il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano: «Siamo soddisfatti - dice - e fiduciosi di ottenere la condanna». La condanna delle ventidue donne, ma non quella di Berlusconi, per il quale la Siciliano e Gaglio avevano chiesto sei anni di carcere e che invece venne assolto con formula piena. L'assoluzione di Berlusconi nel frattempo è diventata definitiva. Ma nel nuovo processo i pm milanesi si preparano a indicarlo come il colpevole numero uno.

Bisognerà leggere le motivazioni della sentenza per capire come la Cassazione (presieduta ieri da un giurista di livello, Giorgio Fidelbo) sia arrivata alla decisione di ordinare un nuovo processo. Nel suo intervento, il 2 giugno, il procuratore generale Roberto Aniello aveva riconosciuto che la scelta di interrogare le ragazze come testimoni era stata «illegittima, in quanto esse erano raggiunte da indizi di reato» ma che «ciò non incide sulla sussistenza del reato di corruzione in atti giudiziari».

Asperità giuridiche a parte, la sostanza è che neanche stavolta la Procura milanese riesce a fare a meno del suo eterno imputato. Che non sarà in aula, e non ci saranno i suoi avvocati a poterne provare l'innocenza, ma verrà evocato a ogni udienza dalla pubblica accusa.

Sullo sfondo, c'è la vicenda giudiziaria delle ventidue, finite in una storia più grande di loro. Come Ruby, che adesso dice al New York Times «Berlusconi mi ha incasinato la vita». O come Marysthelle Polanco, che si interroga: «Lui assolto, e io che rischio di essere condannata, come è possibile?». Già.

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