
Siamo nel punto più basso e tuttavia decisivo della nostra civiltà giuridica.
Non c'è più niente che sia normale, in apparenza. «Le sentenze non si commentano» ma questa l'hanno commentata tutti, proprio tutti. Requirente e giudicante sono storicamente contigue, ma qui abbiamo un pm che ha chiesto l'assoluzione per tre volte e che per tre volte è stato autorevolmente smentito. I processi si fanno nei tribunali, e la politica si fa in Parlamento, ma qui abbiamo un politico (dei Verdi) che ogni volta che canta il gallo denuncia un collega, altro che supplenza della magistratura: è direttamente la politica a farsi supplire con tanto di invito in carta bollata, e, se non bastasse un invito, c'è anche l'accusa di eversione invocata dalla capa dell'opposizione contro la presidente del Consiglio (pena prevista «non inferiore ad anni venti», sciocchezze) e insomma non c'è più niente che sia normale, laddove tutto è normale: perché in teoria è normale che un uomo di governo condannato lasci opportunamente la sua carica (in altri Paesi,
soprattutto) ed è normale che però sia innocente sinché la sentenza non sia in giudicato, quindi è normale che resti al suo posto in un governo eletto e nominato. È normale che tantopiù una premier si astenga dal commentare una sentenza ed è normale che però protegga i componenti del suo governo (in questo Paese, soprattutto) e che li tuteli dal combinato disposto tra media e procure, come pure è normale che un ministro della Giustizia si astenga dal commentare una sentenza ma si dica «addolorato» per un proprio collaboratore, soprattutto se questo ministro è un ex magistrato e forse le sentenze sa soppesarle. Con la normalità contraddittoria del conflitto tra politica e magistratura potremmo proseguire a lungo, in fondo lo facciamo da qualche decennio: magari aggiungendo che tutti parlano della sentenza non conoscendone neanche le motivazioni (solo il dispositivo) ma che tutti sanno bene che in questo caso non serve neppure conoscerle, per darne una lettura politica e persino giuridica; potremmo concludere, insomma, che in Italia è ormai normalissimo pensare che in un'aula di tribunale vada in un modo quando i giudici sono di una corrente e in un altro modo quando sono di un'altra
corrente: è normale, perché non sono più, questi, dei sintomi della crisi di un sistema che non guarisce mai, ma sono i colpi di coda impazziti e caricaturali di un sistema che sita accusando mortalmente il colpo e che si sta provando a guarire per davvero. La sentenza Delmastro è una parodia, un avvitamento finale, l'orchestrina togata che suona imbelle tra i flutti mentre no, non è più un sondaggio umorale quello che ha portato oltre metà degli italiani a credere che «una parte della magistratura sia politicizzata» e che agisca perseguendo obiettivi «politici» (Demos, un mese fa) ma è, questa, una convinzione tecnicamente epocale maturata in decenni di disillusione seguita all'era di Mani pulite.
La nostra magistratura è talmente delegittimata che va protetta da se stessa, il grano separato dal loglio, gli onesti servitori dello Stato dai vecchi barbagianni corporativi. È il sistema che divora se stesso, e che si sta sgretolando a colpi di democrazia e di riforme.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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