Una scelta fatta sotto costrizione. Non un'ammissione di colpa

È ancora tutto come ai tempi di "Mani pulite"; chi non accetta il diktat rimane ostaggio dell'ingiustizia e dell'arbitrio delle prove

Una scelta fatta sotto costrizione. Non un'ammissione di colpa

Noi, Procura, ti risparmiamo un calvario nel tritacarne giudiziario, e tu, Giovanni Toti, in cambio accetti il patteggiamento e così ci eviti una brutta figura. Il calvario è quello in cui Toti si sarebbe infilato in tre o quattro gradi di giudizio passati da ostaggio del sistema, con spese faraoniche per pagare gli avvocati e non solo, senza contare l'attività politica azzoppata e la prospettiva, nel suo caso particolare e paradossale, che questa attività o amministrazione possa essere equivalsa al delinquere: perché è questa l'opinione perversa già espressa dai pm. La brutta figura della Procura, invece, è quella che probabilmente avrebbe fatto o potuto fare se la vicenda Toti fosse andata finalmente a processo, che pure è la sua dimensione naturale: tutti i teoremi e le stramberie adottate dall'accusa demolite a colpi di giurisprudenza normale e dunque non solo «ambientalizzata» come a Genova, chiusa a riccio (pm e gip come un sol uomo) a difesa di tesi piuttosto ardue da tenere in piedi.

Sintesi ancora più drastica: noi, Procura, abbiamo indagato su di te come se tu fossi il colpevole capo della Spectre, ma ora ci accontentiamo di punirti con un buffetto per buona pace degli sforzi, delle spese immani e del bordello mediatico che abbiamo scatenato, comprensivo del sovvertimento del voto popolare; io invece, io Toti, mi reputo perfettamente innocente, l'ho detto e lo ripeto, ma accetto di venire a patti con voi dell'accusa (dichiarandomi implicitamente colpevole) pur di uscire subito da questo inferno, e avere ancora un futuro visto che non ho cent'anni.

Va da sé che l'accordo tra la Procura e Toti deve essere accettato dal gip, che è il giudice

delle indagini preliminari: ed è già saltato all'occhio che significa non essere nemmeno ufficialmente usciti dalla fase delle indagini, quelle in mano ai pm: riecco quindi la peggiore malattia mediatica e procedurale del nostro sistema, ciò che dimostra che lo schifo della giustizia italiana non è uno schifo solo quando funziona male, ma lo è quando funziona e basta, per come funziona, per come è, per chi lo mantiene così. Il patteggiamento all'italiana, sia detto per gli esterofili, non è come quello degli Stati Uniti, dove serve a evitare spese inutili al contribuente e a non fare processi in cui l'imputato finirebbe stangato (anche e proprio perché ha voluto andare a processo) e che viene considerato costoso e «lungo» pur durando in media complessivamente meno di un primo grado da noi; negli Usa, ossia, non conviene andare a processo se sei colpevole, in Italia non conviene andare a processo soprattutto se sei innocente.

Comunque si giudichi Toti, è tutto il sistema a uscirne distrutto. Un'inchiesta durata anni e anni per ottenere che cosa? Una condanna a 2 anni e 1 mese (senza carcere) e 1.500 ore di «lavori di pubblica utilità» con 84.100 euro tolti dalle sue tasche, ma, soprattutto: l'hanno fatto dimettere da governatore. E Toti che cosa ha ottenuto? Il riconoscimento che i suoi atti fossero legittimi al pari dei contributi all'attività politica, ma dettaglio: l'hanno fatto dimettere da governatore. La morale e l'esito (dunque l'inchiesta tutta) si traduce quindi in un fatto politico e poco altro.

Il patteggiamento è una resa all'accusa: si patteggia una pena e si «esce» dal processo senza neanche presentarsi in aula, cioè senza un vero confronto con accuse e accusatori. E non tutti resistono durante carcerazioni preventive interminabili, non tutti

gli indagati ce la fanno ad attendere processi da celebrarsi chissà quando: perché a molti interessa uscire dal carcere il prima possibile e veder dissequestrati i conti bancari resi inaccessibili alla famiglia, ai figli, all'azienda, e questo, assai spesso, anche se chi patteggia si ritiene innocente, o lo è. Mani pulite funzionò in buona parte così e diede l'abbrivio, con patteggiamenti legati alla discrezionalità dei magistrati nel concedere scorciatoie pagate a caro prezzo per chi voleva uscire dal tritacarne. Chi non accettava resta ostaggio della macchina giudiziaria: a primeggiare nelle statistiche dell'inchiesta Mani pulite è infatti un altissimo numero di patteggiamenti legati alle concessioni che l'indagato fosse disposto ad accettare: e le condanne con patteggiamento, in Mani pulite, sono state 847 su 1.254, ottenute, ripetiamo, quando il carcere preventivo era ancor più la regola di quanto lo sia adesso.

Ma non è, il patteggiamento, solo una scorciatoia per colletti bianchi o per deboli di cuore: a farvi ricorso fu anche per esempio un «duro» come Primo Greganti, l'arcigno ex funzionario comunista passato alle cronache per la sua resistenza al carcere e per un suo silenzio presunto omertoso a protezione del Partito: per l'inchiesta Editori Riuniti, Greganti patteggio in appello senza ammissione di colpa con una dichiarazione allegata agli atti, e, tempo dopo, motivo cosi: «Avevo una famiglia e due figlie piccole». Aveva una vita. A dispetto della giustizia italiana, spera di averne una anche Giovanni Toti.

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