Dalla malattia al successo con il marchio della noia

Il 28 novembre 1907, nasceva a Roma Alberto Pincherle (Moravia fu adottato nella firma da scrittore solo nel ’27). L’infanzia e la giovinezza furono segnate dalla malattia, una tubercolosi ossea che lo portarono a trascorrere lunghi periodi in sanatorio, un ambiente ovattato e promiscuo, pieno di sofferenze. Un ambiente sottilmente morboso, che tornerà più volte negli scritti dell’autore con le immagini di cliniche, collegi e ambienti analoghi.
Ventenne negli anni dell’affermazione del fascismo, Moravia ebbe inizialmente un rapporto ambiguo con il regime. O meglio, un rapporto di totale indifferenza. Scrisse per riviste di regime, senza occuparsi mai di problematiche prettamente politiche. Ma già nel ’29 la sua posizione ebbe un brusco scarto con la pubblicazione del romanzo che gli avrebbe dato la notorietà, ma che nello stesso tempo lo avrebbe posto in posizione sospetta presso la polizia fascista. Quegli Indifferenti in cui la propria condizione di distacco non solo dalla politica, ma anche dalla vita intera sono stati riversati in una famiglia della borghesia romana, ben lontana dal positivo attivismo predicato da Mussolini. Da quel momento lo scrittore, ebreo per parte di padre e imparentato con i fratelli Rosselli, finì sotto il controllo della polizia fascista.
Intanto il giovane Moravia sperimentava i primi incontri femminili, i primi amori. Disordinati, deludenti, inquieti. Fino all’arrivo della prima delle compagne che segnarono in modo profondo la sua vita. L’incontro con Elsa Morante è raccontato nella biografia di Renzo Paris (Moravia. Una vita controvoglia, Mondadori, pagg. 323, euro 10,40, edizione rivista e accresciuta) in modo attento e minuzioso. E ogni episodio, ogni risvolto della vita dello scrittore trova riscontro nei romanzi. Dietro ogni personaggio c’è il fantasma dell’autore, o delle sue donne, o degli amici, e di episodi o situazioni vissuti.
Anche i grandi amori non furono mai sereni e appaganti. Tormentatissimo quello con l’autrice di La storia, ma non meno complessi quello con Dacia Maraini e quello senile con Carmen Llera. L’indagine di Paris non trascura nessun particolare delle vicende personali, individuandone le corrispondenze negli scritti. E questo è forse uno degli aspetti più interessanti del volume: la testimonianza di una coincidenza tra scrittura e vita che spalanca nuove letture dei testi moraviani.
Moravia aveva un carattere difficile, spesso stizzoso, polemico. Ma aveva anche una curiosità inesausta per tutti gli aspetti della vita, compresi i meno edificanti e i più torbidi (la patologia, o il sesso visto nelle sue componenti abnormi di violenza o voyeurismo). Il tutto, poi, sempre sovrastato da una noia di vivere profonda, un’irrequietezza da falena prigioniera, una disperazione inconsolabile. Neppure le lotte politiche, peraltro non sempre scelte, hanno saputo placare il senso di vuoto che ha probabilmente le sue radici nella costrizione giovanile della malattia.
Da qui, da questa perenne scontentezza, il titolo del volume, Una vita controvoglia, che a sua volta richiama il moraviano Impegno controvoglia, dell’81.

In questo malessere, in questo senso di inutilità, che dal punto di vista letterario ha radici nell’amore per Dostoevskij, si può condensare il senso ultimo della lunga vita di Moravia, che ha attraversato tutte le fasi del secolo scorso, protagonista in prima linea, testimone, cronista.

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