Maldini: trent'anni di Milan

"La mia fortuna? Crescere in un vivaio che funzionava con gente che non mi ha dato pressione. Berlusconi? Arrivò e ci cambiò la vita"

Maldini: trent'anni di Milan

Carissimo Paolo Maldini, 30 anni da tesserato del Milan: come cominciò?
«Con un colpo di fortuna, se ci penso. Ho avuto la possibilità di praticare sport, all’aria aperta, nella mia città, vestendo la maglia che aveva reso famoso mio padre. Quel gioco poi è diventato il mio lavoro, anche se ho un po’ di pudore a chiamarlo così».

Quale fu il colpo di fortuna?
«Entrare in un settore giovanile che funzionava alla perfezione e compiere i primi passi in una squadra che giocava la coppa Uefa dove c’erano posto e tempo per far crescere uno del vivaio. Poi arrivò Silvio Berlusconi e ci cambiò la vita».

Proviamo a sintetizzare i 30 anni di Milan? Chi i più forti tra i suoi sodali?
«Proprio in questi giorni, mi sono posto il quesito. Il più dotato è stato sicuramente Marco Van Basten, il più completo Franco Baresi. Con loro non posso dimenticare Kakà e Shevchenko, Gullit e Weah».

Idem con gli allenatori...
«Liedholm è stato fondamentale per me. Mi ha scelto tra i ragazzi, mi ha portato per mano al debutto, non mi ha fatto conoscere il peso del cognome che portavo. È stato lui a formare il grande Milan, ereditato poi da Sacchi. Con lo svedese, i tre allenatori che hanno collezionato i successi dell’era berlusconiana: Arrigo, Capello e Ancelotti».

Quanti fuoriclasse ha incrociato da rivale?
«Il più grande di tutti è stato Diego Armando Maradona. A pari merito il primo Ronaldo dell’Inter: mai visto uno così tecnico e così potente. Prima di loro sono diventato matto dietro Rummenigge e Platini».

Quale frase scriverebbe sul cancello di Milanello?
«Nati per vincere: è il nostro motto, scritto nel Dna di questa società fin dagli anni Sessanta. Noi del Milan abbiamo vinto molto, è vero, ma abbiamo conosciuto anche l’amarezza della sconfitta, alcune terribili, tipo Istanbul. Ma siamo riusciti sempre a rialzarci dopo la caduta».

Da qualche giorno si è abbattuto sul Milan il ciclone Ronaldinho: se l’aspettava?
«Certo e c’è una ragione semplicissima. Il grande pubblico del calcio mondiale ha bisogno di personaggi tipo Ronaldinho per alimentare la passione. Io lo vedo tutti i giorni con i miei figli: stanno davanti alla tv per studiare i dribbling e il palleggio di Cristiano Ronaldo, Ibrahimovic o Ronaldinho, per poi ripeterli durante i loro giochi».

L’accoglienza alla Maradona ha provocato gelosie a Milanello?
«Neanche per idea. Se vuole saperlo il primo a essere felicissimo per l’arrivo di Ronaldinho sono stato io. E come me i miei compagni di viaggio. E sa perchè? Perchè questa botta di vita, di entusiasmo purissimo, è un beneficio per tutti, per la squadra, per la società, per il campionato italiano in generale. È successo anche in passato».

Quando?
«Quando arrivò Ronaldo. Lo so, ha avuto un epilogo sfortunato ma lui ci diede una scossa benefica, consentì alla squadra di impegnarsi in Champions mentre coi suoi gol ci trascinava al quarto posto».

Si dice anche: Ronaldinho avrà problemi a giocare con Kakà, con Seedorf c’è la questione aperta del numero di maglia...
«Problemi risolvibili. In un gruppo di lavoro c’è la possibilità di parlare, di discutere e di trovare delle intese, specie quando si rema tutti insieme».

Dicono ancora i critici: Milan forte in attacco ma in difesa...
«È diventato un luogo comune, lo ripetono da anni, dalla seconda stagione di Capello, sostenevano che eravamo da rifondare. E invece io sono ancora qui. La difesa è buona, composta da giovani e da esperti. Fidatevi».

Nazionale: liquidato Donadoni, richiamato Lippi. Giusto così?
«No, mi ha stupito. E lo dico senza aver assunto informazioni dagli interessati. Donadoni arrivò dopo il mondiale vinto a Berlino, di solito, come capitò a noi con Vicini nel ’92, l’europeo è un fallimento. E invece la Nazionale si qualificò da prima nel girone con la Francia, ha avuto sfortuna di incrociare la Spagna. La conclusione è questa: non c’era molta fiducia in Donadoni, hanno colto al volo l’occasione per richiamare Lippi».

Cosa pensa di Mourinho?
«Adesso mi piace, il suo sbarco in Italia è stato interessante. Prima mi dava persino fastidio, ora ho preso ad apprezzarlo. Ha fatto dimenticare, agli occhi del pubblico, il gran lavoro fatto da Mancini nell’Inter e questo mi dispiace».

Sostiene Galliani: il Milan negli ultimi due anni si è dedicato ad altro. Una scusa o realtà?
«Tutte e due le chiavi di lettura sono convincenti. Io col Milan ne ho vinti 7 di scudetti, nei due anni di calciopoli siamo arrivati testa a testa con la Juve: non è vero che siamo inadatti al campionato. E ve lo dimostreremo dal 31 agosto».

Blatter classifica Cristiano Ronaldo e i suoi fratelli schiavi: condivide?
«Non è così. Schiavi sono quelli meno fortunati di Cristiano Ronaldo che non possono scegliere il loro destino e che devono sottostare al volere di altri».

Doping nel ciclismo: come sconfiggerlo?
«Ho letto un intervento interessante di Mennea: sembra impossibile andare forte in bici senza ricorrere al doping. Nella vicenda c’è un aspetto positivo: al Tour funzionano i controlli, appaltati all’esterno».

Il ciclismo mastica amaro, segnalano che nel calcio i controlli non funzionano...
«Non è così. Nello sport di squadra, il doping è più complicato eppoi subiamo controlli a sorpresa da Uefa e federcalcio».

Ronaldinho a Pechino: si possono capire i fuori quota alle Olimpiadi?
«La barriera del professionismo è caduta da molti anni. Fosse per me, lascerei il torneo riservato all’under 23».

Caro Maldini, lei gira il mondo. Le avranno chiesto in questi mesi di Napoli, dello scandalo dell’immondizia: come si è difeso?
«In vacanza con la famiglia alle Bahamas, mi hanno interrogato sempre sul calcio e sulla Nazionale anche se non ne faccio più parte. A chi mi chiedeva del caso Napoli segnalavo che le feroci polemiche sono arrivate da paesi nostri concorrenti in fatto di turismo ma non era divertente».

E adesso?
«Ora sono felice per quel che è avvenuto. Abbiamo dimostrato al mondo che quando vogliamo siamo capaci di fare le cose per bene mettendo in moto il massimo dell’efficienza abbinata alla fermezza. Sembrava impossibile tre mesi fa: Silvio Berlusconi ci è riuscito».

C’è ancora gente in giro che si stupisce del fatto che a 40 anni Paolo Maldini continui a giocare?
«Parte del merito è genetico.

Mio padre ha giocato fino a 37 anni, all’epoca era un autentico record. Di recente, Scolari ha chiesto a Shevchenko: ma come fa Maldini a giocare ancora? La risposta è banale: per amore, si può dire. Amore per il calcio, naturalmente».

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