Maledetti Dvd: chiude il President

Papà Giuseppe Guadagno nel 1975 diede incarico all’architetto Roberto Della Torre di progettare il President come se fosse «il salotto di Milano»: un cinema spazioso, confortevole, non solo nella sala e per la qualità dello schermo, ma anche per il foyer ricco di divani di velluto color giallo-ocra scuro, il bar, le poltrone circondate, come le lunghe scalinate d’ingresso, da vetro, metallo e cristallo, l’elegante cabina del telefono interna, gli strapuntini larghi e comodi ai bordi della sala di proiezione e quei bei ritratti, quadri e l’antica macchina da presa che domina il salone d’attesa.
La brutta notizia della sua chiusura il 12 luglio, arriva da suo figlio Raffaele, innamorato del cinema sin da ragazzino. Colto, 52 anni, nel tempo si è battuto per far conoscere al grande pubblico i film di Woody Allen, dell’inglese James Ivory, dei fratelli Coen ed è di questi giorni l’uscita del bel film in stile british, Ritorno a Brideshead di Julian Jarrold con Emma Thompson, Matthew Goode e Thomas Morrison, tratto dal grande romanzo di Evelyn Waugh, raffinato e con un cast eccellente come fu quello memorabile di Lezioni di piano, che ricevette il premio Biglietto d’oro per la più lunga programmazione in una stessa sala, quella, appunto, del President.
«Sono 20 anni che mi occupo di cinema - dice un deluso Raffaele Guadagno -. Lo faccio con passione, ma da quando la logica della distribuzione è cambiata, persino nel circuito della Medusa non posso più avere film colti, specifici, adatti a certi locali che avevano un loro pubblico esigente. Oggi le multisale inghiottono pacchetti di film di ogni tipo, li danno in blocco. Un tempo c’era un palinsesto con delle uscite prestabilite, oggi un film sta su quattro settimane circa, indipendentemente se va bene o meno, tanto per le multisale ci sono altre americanate a coprire le perdite, di certo non la qualità. La presenza di pubblico è calata del 30 per cento, cresce la visione privata del Dvd, che ha aperto un vero e proprio mercato anche ai festival del cinema».
Guadagno è titolare anche del palazzo che dà sulla stessa via al n.1, ma il vero spazio da potere recuperare per continuare, se non a proiettare, a fare una sorta di museo e di spazio dedicato ai cinefili, è Teorema, un palazzo ora vuoto: occorrono però fondi per affittarlo, come è stato fatto con la Casa del Cinema a Roma. «Sono stanco di litigare per avere un film che mi interessa. Sono diminuiti i film d’essai in vendita e sono aumenti quelli commerciali, le quote dei film d’autore al minimo. Oltre a rimetterci, non riesco più a fare conoscere pellicole come L’uomo che non c’era o Uomini che odiano le donne di Oplev. Ero certo di avere Changeling di Clint Eastwood, niente da fare».
Tutto cambia e purtroppo in peggio. Dopo la scomparsa delle cineteche, spariscono le sale uniche, si salva ancora L’Arlecchino ma si assiste alla follia del cinema Manzoni, a fianco del teatro omonimo, che non viene ceduto al teatro come gestione o ad altri, ma rimane chiuso. Pare che la proprietà sia dell’Ordine dei Medici. L’Astra, con le sue splendide murrine d’epoca e la sua grandiosa ed elegante entrata, è da tempo divenuto un negozio di abbigliamento del marchio Zara. Follie di una Milano che dice di essere proiettata verso il futuro, ma non sa conservare i locali storici: il Lirico è chiuso, e va a pezzi, il Gerolamo pure. Solo lo Gnomo, all’interno della cittadella dell’Università Cattolica, si è salvato con un restauro che ha ripulito però le casse dell’Agis. L’Orchidea, più piccolo, l’Ariosto e il San Carlo vivono per altri motivi ma non sono di prima visione.


Così sia il President, il salotto di Milano, sia il Maestoso lasceranno spazio alle multisale, specie periferiche: lo conferma anche Stefano Lo Surdo segretario Agis. Gli spettatori protestano e Lionello Cerri, patron dell’Anteo e dell’Apollo, sostiene che è una scelta dolorosa del mercato, complice anche una certa fetta di pubblico attirata da una maggiore offerta.

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