Fare sistema è diventata una delle espressioni più abusate del linguaggio politico. Tutti chiedono a tutti di fare sistema, di superare langustia delle visioni legate a immediati interessi particolari per consentire alle potenzialità, appunto, del sistema di dispiegarsi e produrre frutti. Ma questa invocazione ricorrente spesso si rivela soltanto un vezzo linguistico. Prendiamo il caso Malpensa. «Fare sistema» significherebbe valorizzare l«hub» lombardo, il grande scalo con rilevanza e funzioni internazionali, nellinteresse generale del Paese. È il progetto stesso di Malpensa a richiederlo, il grande aeroporto è stato pensato in un certo modo per assolvere a una certa funzione, per servire insieme il Settentrione e lintera Italia, in un contesto di collaborazione e competizione, anche, europea e intercontinentale.
Ma fare sistema è difficile, presuppone energie politiche oltre che economiche, richiede la capacità di superare le visioni che possono apparire immediatamente redditizie per puntare sul futuro, su opportunità strategiche più ampie. Pare, adesso, che ci sia una congiura romana per tarpare le ali ridurre i voli a Malpensa, per limitarne le capacità operative e, quindi, concorrenziali. Non è un contrasto di campanile, unantistorica contrapposizione fra le due capitali, è soltanto un cedimento a piccoli calcoli legati a immediati bisogni. Il bisogno non è mai un buon consigliere. Si ha limpressione che, nellimpossibilità di affrontare con coraggio ed energia la crisi dellAlitalia, si vogliano adottare soluzioni-tampone. Per ridurre nellimmediato i costi di una compagnia di fatto decotta, si spostano voli da Malpensa. Ma cè il rischio che il piano si riveli soltanto un palliativo: lagonia di Alitalia sarebbe soltanto prolungata, ma i danni a Malpensa sarebbero duraturi e decisivi.
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