Non le qualifiche, né master o curriculum. Per i colletti bianchi dello Stato, per i manager in forza alla mastodontica macchina dell’amministrazione pubblica, è la latitudine a fare la differenza. Probabilmente non era nelle loro intenzioni, ma quando hanno annunciato tre giornate di sciopero per gli statali - una per il Nord, una per il Centro e una per il Sud - Cgil Cisl e Uil hanno rimarcato in chiave di «astensione dal lavoro» le differenze che caratterizzano i dipendenti pubblici «al lavoro». Come per tutti i comparti economici nazionali, anche nel pubblico la situazione del Nord è diversa da quella del Sud; solo che in questo caso lo scenario tipico risulta ribaltato: nel meridione ci sono più occupati, che guadagnano mediamente di più.
Ogni governo, al momento dell’ insediamento, promette tagli alla spesa pubblica e la riduzione della macchina statale, gigantesca realtà che da sola impegna 3.571.379 lavoratori, il 16% degli occupati totali. Tutti hanno, almeno, provato. Con risultati fino ad oggi modesti: era il luglio scorso quando la Corte dei Conti puntava il dito contro le assunzioni nel periodo 2001-2007, sottolineando che, se da un lato si è riusciti a contenere l’aumento nelle amministrazioni centrali - più 1,6% - nelle periferie dell’impero si è continuato ad assumere, più 2,1%; e ad aumentare parallelamente gli stipendi.
Nel suo bollettino di giungo del 2007 la Bce denunciava che a fronte di un incremento delle retribuzioni private, nell’arco 2000-2006, del 14,7%, nei Paesi della zona euro si è allegramente continuato a far lievitare gli stipendi pubblici, in media del 21,6%. Una media a cui hanno contribuito gli aumenti modesti della Germania (+8,3%), quelli più consistenti della Francia (+20,4%) e quelli spropositati dell’Italia (+33,8%). Il tutto per un costo che la Ragioneria generale dello Stato indicava per il solo 2006 in 162,7 miliardi di euro, il 12,4% in più rispetto al 2004 (in pratica 18 miliardi in più di stipendi in due soli anni).
Ma il carico della macchina statale non è appunto uniforme. Spalmata sul territorio nazionale, la compagine dei dipendenti pubblici dimostra «addensamenti» diversi al Sud, dove lavorano 4,2 addetti ogni mille abitanti, rispetto al Nord, dove il rapporto è di 2,6 a mille. La disparità negli organici risulta accentuata se si guarda ai dirigenti delle regioni - escludendo i dirigenti delle agenzie e aziende regionali -, un esercito di 7.055 professionisti. Di questi manager della cosa pubblica, la sola Sicilia ne impiega 2.528, il 36% del totale. Se il paragone con la realtà siciliana può essere improprio - è regione a statuto speciale - il confronto tra gli organici delle regioni ordinarie esplode se raffrontato alla popolazione delle singole aree: la Lombardia impiega 3 dirigenti ogni 100mila abitanti, mentre il Molise 27. Ancor più significativo il confronto tra due regioni con popolazioni simili: con poco più di 5 milioni di abitanti, la Campania impiega 10,3 dirigenti ogni 100mila abitanti, mentre il Veneto, a fronte di 4 milioni e mezzo di cittadini, ha un rapporto di 5 a 100mila. Mediamente i dirigenti delle regioni guadagnano 86.199 euro; ma, di nuovo, parlare di medie è poco esplicativo.
Anche qui l’assioma Nord ricco Sud povero viene meno: nonostante un costo della vita sensibilmente inferiore, nel meridione la paga dei manager regionali è di 92.909 euro lordi l’anno, cifra che al Nord scende a 84.888. Ottomila euro, non male.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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