La vicenda Visco-Speciale ha consentito di capire come la sinistra intende l'esercizio del potere politico: un mandato in bianco per fare quello che vuole delle istituzioni dello Stato. A chiarire questo preoccupante aspetto ci hanno pensato Anna Finocchiaro, la «signora di ferro» che tiene unita la maggioranza al Senato; Vannino Chiti, responsabile delle riforme istituzionali; e soprattutto il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa che, da tecnico prestato alla politica, per ordine di questa ha sparato il colpo alla nuca del generale Roberto Speciale.
Di questo, infatti, si è trattato: il generale Speciale è stato dichiarato un fellone; anzi, lo è sempre stato. Questa la tesi, ben poco sostenuta con argomenti giuridici convincenti, nell'intervento di Padoa-Schioppa. Con due enormi e invincibili contraddizioni. Prima: se Speciale è considerato un fellone, perché gli è stato offerto un posto di prestigio alla Corte dei conti? Seconda: se Speciale è considerato un fellone, perché Vincenzo Visco ha rinunziato alla delega sulla Guardia di finanza?
Ma questo conta poco. Alla sinistra interessava dimostrare che potere e comando coincidono, al di là delle leggi. Lo si ricava da dichiarazioni collaterali della Finocchiaro e di Chiti.
La Finocchiaro ha detto che la questione Visco-Speciale è politica e tutte quelle richieste sul rispetto delle procedure riguardo la destituzione del generale, i decreti e relativi atti di registrazioni presso la Corte dei conti sono «tecnicalità». Più precisamente: «Se il decreto emesso dal Governo per sollevare il generale Speciale sia stato o meno firmato dalla Corte dei conti, è una questione da tribunale, da magistrati, non certo da aula parlamentare». In sintesi: si tratta «di una questione che né a me né agli italiani può importare. Anche se non dovesse firmarlo, quell'atto politico rimarrebbe. È di quell'atto politico che si dovrebbe discutere».
Discutere dove? Nell'aula parlamentare, risponde la Finocchiaro, dove ciò che conta è avere la maggioranza. Non si comprende allora perché questo principio, che vale oggi per la sinistra, non dovesse valere - in quanto era contestato - per la destra. Che cosa pensa il Presidente della Repubblica di questa esternazione di Anna Finocchiaro?
A ribadire il concetto è intervenuto Vannino Chiti, responsabile delle riforme istituzionali, che ha attaccato il generale Speciale, applicando al caso concreto la teoria generale della Finocchiaro: comandano i politici e, tra i politici, quelli che hanno la maggioranza. Ha detto Chiti che «nel loro ruolo e nella loro funzione, in democrazia, le forze armate obbediscono al potere politico». Sicuramente questo è vero, ma senza pregiudicare i diritti-doveri d'istituto e i diritti individuali e senza consentire che il potere politico sia prevaricatore.
In realtà si confonde il legittimo primato del potere politico nei confronti delle altre istituzioni, le quali hanno nel nostro sistema precisi spazi di autonomia gestionale e funzionale, con un nuovo diritto: quello del potere ad esercitare impunemente vere e proprie «molestie politiche». Non ci sono dubbi che il potere politico ha il diritto di rimuovere dal suo incarico - anch'esso di nomina politica - il comandante di una forza armata (o un alto dirigente di altro settore) che non si adegua ai suoi indirizzi, purché questi siano politici in senso lato, cioè nell'interesse di tutti. Ma non sono politici in questo senso gli interventi del potere politico che sono motivati da interesse di parte. Perché le manovre di Visco mettono sotto attacco non solo la GdF, ma anche la Magistratura, con la conseguenza che tutto il Governo ha finito anche per svillaneggiare la Corte dei conti.
Alessandro Corneli
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