Le mani degli artigiani raccontano storie

Traccia: «Campagne e paesi d'Italia recano ancora le tracce di antichi mestieri che la produzione industriale non ha soppiantato del tutto e le botteghe artigiane continuano ad essere luoghi di saperi e di culture ai quali l'opinione pubblica guarda con rinnovato interesse (...). Rifletti sulle caratteristiche dell'artigianato oggi e sulla importanza sociale, storica ed economica che esso ha avuto e che in prospettiva può avere per il nostro Paese».

Le strade non mentono. Sei qui che cammini sotto il sole della città eterna, in quella zona che ha come fulcro sbilenco Campo de’ Fiori, lì dove un tempo bruciò l’eretico e dove ora, ogni notte, fanno quartiere gli avvinazzati. Scendi lungo via dei Giubbonari, la strada dei sarti e dei mantellari, svolti a sinistra per gli eredi di San Pietro in quella via dei Chiavari che corre parallela a via dei Barbieri. A Sud trovi il vicolo de’Catinari e via degli Specchi, poco più in là c’è il vicolo dei Cenci, memoria di straccivecchi. Queste stradine che s’intersecano sono il segno metafisico delle arti e dei mestieri: via dei Falegnami, via della Corda, via degli Orafi, vicolo dei Bovari, via dei Pettinari, via dei Balestrari, via dei Baullari, fino all’inferno di chi lavora e investe e spende e spera. Il centro è proprio lì, a piazza Monte di Pietà, dove si porta l’ultima catenina d’oro, l’ultima speme prima dello strozzo. Questo angolo della città eterna è un sudario sulla mappa di Roma. È la sacra sindone degli artigiani.
Queste strade, tu, le hai conosciute dopo. Prima c’era il tuo paese, con gli ultimi calzolai che chiudevano bottega ed eri quasi contento di aver fatto in tempo a vederli. Erano gli anni ’70 e, dicevano allora, l’artigianato è morto. C’era il fumo delle fabbriche, l’utopia dell’operaio massa, il sogno piccolo borghese di un posto al ministero. Qualcuno cominciò a dire che fabbri e orafi, ciabattini e vasai, ebanisti e pasticcieri erano mestieri antichi. La modernità li stava spazzando via. Fisco e leggi si accanivano. Morivano i maestri e non c’erano apprendisti. In paese gli artigiani li chiamavano artisti. E non era un caso.
I nemici della modernità dissero che era colpa del capitalismo. Forse si sbagliavano. Il vero nemico dell’arte e dei mestieri è la dittatura della massa, l’ideale dell’eguaglianza che svanisce nell’anonimato. Qualche volta il nemico è lo Stato, quasi mai il mercato, che ha le sue leggi e i suoi tempi, e premia chi ha l’occhio e il coraggio di incrociare domanda e offerta. Lo spirito degli artigiani odora di libertà. È il contadino che si affranca dalla terra e trova casa, mestiere e bottega nelle mura delle città italiane del Medio Evo, lì dove la storia ha gettato il germe del capitalismo. L’artigiano non ama il mercante, perché lui ha nelle mani il dono di Apollo, l’altro ha la febbre di Mercurio, ma entrambi sono figli della stessa madre: signora libertà, signorina fantasia.


Il nuovo secolo ha detto che Apollo e Mercurio, se vogliono sopravvivere, devono camminare insieme. Il futuro dell’Oriente sono i prodotti a basso costo. Il futuro dell’Occidente sono prodotti che sanno raccontare una storia. Il segreto degli artigiani è nelle loro mani. Sono mani che narrano storie.

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