Mann e i guai dell'identità (più tedesca che sessuale)

"Il Mago" di Tóibín si concentra sull'omosessualità repressa dello scrittore. Ma i suoi tormenti erano altri

Mann e i guai dell'identità (più tedesca che sessuale)

Sul retro della copertina si annuncia che questo singolare racconto è «Un romanzo su Thomas Mann che si legge come un romanzo di Thomas Mann» e ancora che «Il Mago raggiunge un risultato notevole: quello di farsi leggere come un romanzo che Thomas Mann avrebbe potuto scrivere prendendo spunto dalla propria vita». Ne dubito, senza nulla togliere alla godibilità della lettura, ma la tesi di tutto il libro, circa 500 pagine (Einaudi, euro 24), in cui l'autore Colm Tóibín, affermato romanziere irlandese, descrive con spigliata gradevolezza narrativa la vita dello scrittore tedesco, è chiara fin dall'inizio. Infatti, nella lettera programmatica «al lettore», afferma: «Mi è risultato chiaro che Mann pensava costantemente a una vita sessuale che gli era preclusa». La preclusione è abbastanza porosa, secondo Tóibín, perché gran parte del racconto narra, senza soverchi scrupoli, le nostalgie e le pratiche omosessuali di Mann. Ormai è noto che lo scrittore abbia avvertito una trascinante pulsione omoerotica, che per altro ha tentato con un certo successo - di occultare, ma Tóibín, esponente di spicco del movimento Lgbt, insiste su questo aspetto, che è ciò che lo interessa maggiormente, ricostruendo e inventandosi avventure sull'esile traccia dei diari giovanili che Thomas Mann - piccolo particolare - aveva distrutto, salvo uno che gli servì per scrivere il Doctor Faustus. Ma qui allo studioso subentra il romanziere che sa immaginare gli scabrosi abbracci e i desiati amplessi che il giovane Mann riservava ai suoi presunti amanti. A lungo la critica accademica ha taciuto sulle inclinazioni sessuali del venerato autore della Montagna incantata, e ora Tóibín salda il conto, ché in ogni capitolo torna, con morboso piacere, sull'argomento, a scapito dell'opera e anche del pensiero, anzi più esattamente dell'evoluzione del pensiero storico-culturale e politico di Mann.

È definitivamente accertato che l'autore di Morte a Venezia sia stato omosessuale (più in spirito che in pratica) o più esattamente bisessuale, come dimostrano i sei figli avuti con Katia Pringsheim, grande donna che ha saputo stargli a fianco durante due guerre, i decenni dell'esilio e le decine di traslochi. Si sa anche che sia Klaus sia Erika, i primi figli, avessero dichiarato e praticato l'omosessualità. E si sa che Klaus, il figlio geniale, abbia usato e abusato di droghe fino al suicidio nel 1949. E il tema del suicidio è ricorrente nella famiglia Mann come un ferale destino. Le due sorelle di Mann, Carla dapprima e Lula successivamente, si suicidarono. Suicida fu anche nel 1977 l'ultimo figlio di Thomas, Michael. Il confronto con la morte è, dunque, centrale nella vita e nell'opera di Mann a cominciare dai primi racconti per poi esplodere come il leitmotiv nei Buddenbrook e in Morte a Venezia, mentre la Montagna incantata è il grandioso romanzo, incentrato sulla lotta tra fascinazione della morte e impegno per la vita. Eppure il tema funesto, che innerva il romanzo sul destino demonico e geniale della Germania, è quello del Doctor Faustus del 1947. Si tratta della raffigurazione del lugubre destino del protagonista, il musicista Adrian Leverkühn. Mann rievoca la tragedia tedesca, ricercandone le cause in quel sentimento indomabile, sorto con il romanticismo, di una egemonia della Kultur germanica sulla Zivilisation occidentale, razionalista e democratica. Paradossalmente è stato proprio il nazismo con la sua volgarità plebea, con il suo materialismo razzista a distruggere quel non infondato convincimento di primato culturale. Eppure, ancorché consapevole dello sfacelo di quella concezione romantica, violentata dai nazisti, Mann, ormai paladino dei valori di libertà e democrazia, rimase nel suo intimo fedele a quella Germania segreta dei romantici, dei Lieder, di Wagner e di Nietzsche. Quell'idea della Germania gli aveva ispirato il suo monumentale saggio sulle Considerazioni di un impolitico, antidemocratico e anti-illuminista. Ancora, durante l'esilio americano, rimpiangeva la commozione poetica che gli aveva suggerito quel libro smisurato. Nel 1952 confessava all'amico Ferdinand Lion: «Ho sempre sentito che, al tempo della mia ostinazione reazionaria, nelle Considerazioni di un impolitico, ero stato molto più interessante e lontano dalla banalità». Questo è il leitmotiv dell'ambiguità spirituale e culturale manniana (assai più determinante delle pulsioni omoerotiche), come conferma la conferenza nella Library of Congress il 6 giugno 1945, a un mese dalla fine della guerra e precisamente nel giorno del suo 70° compleanno. La conferenza, in quel luogo, di fronte all'élite americana, doveva essere una confessione coraggiosa e orgogliosa, in cui lo scrittore di Lubecca, Premio Nobel per la letteratura, ammette: «Quando si è nati tedeschi si ha a che fare con il destino tedesco e con la colpa tedesca».

Solo Mann poteva dichiarare di fronte ai vincitori l'indivisa e indivisibile identità tedesca. Lo scrittore traccia il profilo della tragedia tedesca, nonché della sua personale identità spirituale, intellettuale e artistica, con coinvolgente empatia, non scevra da palpiti di nostalgia per quella meravigliosa e demonica natura del popolo tedesco, eletto e maledetto. Chissà che avranno pensato i pazienti ascoltatori di questa confessione, che culmina con un gran finale: «Che cos'è il romanticismo tedesco se non l'espressione di quella bellissima fra le doti tedesche, l'interiorità tedesca? Nel concetto di romanticismo si fondono molti elementi di sognante nostalgia, di fantasticherie spettrali, di bizzarrie profonde... Ma non a questo io penso in realtà parlando di romanticismo tedesco, bensì ancor di più ad una certa fosca religiosità e potenza che potrebbero anche chiamarsi arcaismo dell'anima, che si sente vicino alle energie ctoniche, irrazionali e demoniche della vita». Insomma ancora una volta Mann si riconosce tutto tedesco, anche se si rifiutò di tornare in Germania. Di nuovo in Europa, preferì la Svizzera tedesca. Visitò quella sua sconsolata patria per brevi soggiorni, per onorare Goethe nel bicentenario della nascita con un discorso a Francoforte e con lo stesso discorso a Weimar, allora nella Repubblica democratica tedesca, e per questa sua scelta fu duramente attaccato dai media americani.

Questa stizzosa ostilità lo convinse a tornare in Europa, anche se non rinunciò alla cittadinanza americana. Un altro breve viaggio nel 1955, pochi mesi prima della morte, fu a Lubecca in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria, con la visione spettrale della casa dei Buddenbrook distrutta dai bombardamenti salvo la facciata. Così a Lubecca si chiude - con una scelta felice e delicata di Tóibín - il cerchio di una vita intensamente vissuta. Il romanzo costituisce sicuramente un'occasione per riaccostarsi a Mann, con un racconto gradevole, benché soverchiamente intriso dall'ambiguità sessuale. D'altronde come riconosce l'autore: «Questo libro è un'opera di finzione basata su fatti storici». Ed è anche un'opera, più che mai, nel segno dei tempi. Il titolo Il mago risale al nome affettuoso con cui lo chiamavano in famiglia e che lui molto amava.

Lo stesso titolo, Il mago, è stato usato dal grande critico Peter de Mendelssohn (che poté tra i primi consultare i diari) che a Thomas Mann ha dedicato una affascinante biografia (non romanzata) in due poderosi volumi.

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