Maradona&Messi nell’anno del fattore M

Il Pibe al primo mondiale in versione ct e il suo erede in campo sono uomini del destino per l’Argentina. E Milito li lega ai trionfi di Mourinho, Moratti, Milano... Diego ha una squadra che vale oro in ogni reparto

Maradona&Messi nell’anno del fattore M

Diego quanti anni avevi? Diciassette soltanto e sembra passata un’eternità. Maradona era soldatino di piombo e di gomma, dallo sguardo scarnificato, affilato, sotto capelli che tendevano già al cespuglio, e la palla spariva accarezzata da piedi che Cesar Luis Menotti aveva già intuito essere magici. In Europa era inverno, il febbraio del 1977, quando Menotti lo convocò per la prima volta in nazionale. Tecnico che veniva chiamato “el flaco”, un tipo allampanato, lungo e dinoccolato, flemmatico e tagliente nel parlare.

Tutt’altro ct rispetto a quello che, oggi, andrà ad interpretare Diego sulla panca dell’Ellis Park, uno dei due stadi di Johannesburg. Maradona debutta al mondiale nell’unica interpretazione che gli manca: quella del commissario tecnico. Da calciatore esordì al mondiale di Spagna ’82, perse subito (contro il Belgio), ma la musata peggiore gli capitò con l’Italia di Pablito e alle prese con i ferri di Claudio Gentile. Aspettò altri quattro anni per fare il Fenomeno.
Oggi Diego chiude il cerchio e sul campo rivedrà la copia moderna di se stesso: si chiama Lionel ed è molto più corto in tutto, a cominciare dal cognome, Messi, per finire nel fisico: ed è tutto dire. Lionel è un puffo che, quando gioca, sembra un topolino tanto sa essere veloce. Maradona metteva sempre il petto in fuori a sfidare il mondo. E tanto per non cambiare, ieri se l’è presa pure con Pelè, senza mai nominarlo. «Dopo la tragedia del Togo, un signore scuro che giocava con il numero 10, disse che non si doveva giocare in Sudafrica. Ed invece siamo qui, alla faccia della sua ponderata opinione: questo paese lo meritava». No, i due non si sono mai sopportati troppo.

Lionel ha un altro stile, svicola fra le gambe: a dribblare il mondo. Pure le polemiche. Ieri, in allenamento, Maradona faceva vedere a tutti il suo magico sinistro, calciando punizioni. Leo esprime magia, che è una cosa diversa. Ormai fanno coppia: uno comanda, l’altro esegue. Mai il calcio ha provato ad incrociare così grande sensazione di immensità pallonara raggruppata davanti allo stesso specchio. Maradona e Messi si guardano e certamente si riconoscono: quel che sono stato io, sarai tu. «E forse di più», ha azzardato Diego che, quando ci sono di mezzo Dio, patria e famiglia, mette da parte anche il suo SuperIo. Lo ha dimostrato con tutto il suo cuore, che è grande ma spesso non riesce ad averla vinta sulla testa. Matta. «Spero che Leo faccia uno splendido mondiale e diventi il miglior giocatore di sempre. Dietro c’è una squadra e lui potrebbe esser la ciliegina». Ecco, qui sta forse la differenza sostanziale: Maradona era la squadra, poteva far da solo. Messi ha bisogno di altri.

Leggi Maradona, dici Messi, aggiungi mondiale. Ricorda qualcosa il gioco di parole? Dici Moratti, aggiungi Mourinho, concludi con Milito e scopri Milano sul tetto d’Europa. Sarà mai l’anno del fattore “M”? L’Inter ha detto sì. L’Argentina potrebbe aggiungere il suo parere vincolante. Già Milito... che poi è uno dei suoi centravanti. Non sempre il caso si diverte a vanvera. Maradona è arrivato al mondiale a modo suo: sul filo dell’impossibile, senza negarsi il thrilling. Messi è arrivato stanco. All’età di Lionel, gli anni sono 23, solo Pelè aveva vinto di più. Non Di Stefano, Cruyff, Zidane e nemmeno il Pibe. Ma in nazionale finora ha rasentato il buco nero. Cerca il suo mondiale, anche se dovrà viverlo in compartecipazione. Ovviamente con Maradona.

Diego oggi è un vecchio ragazzo, baffi alla Gengis Khan, una barba imbiancata che fa contrasto con capelli scuri. Chissà, il vezzo del divo non accetta d’imbiancare anche la cabeza? Tiene sul petto la croce del suo credo, nel cuore l’idea grandiosa che traversa il suo orgoglio: vincere all’esordio. Per ora, dice lui, è fiero di essere il ct argentino. «Orgoglioso di guidare la squadra verso il nostro sogno». No, non pensate che imiti Mourinho: tutt’altra tempra e storia. Sogno e ossessione per lui sono due temi che possono andare d’accordo. Quando va sul campo, torna ad essere il giocatore: quello che palleggiava con un’arancia in mezzo al campo. Quando sta in panca è diverso. L’ha raccontato: «È molto più difficile, ho responsabilità maggiori». E sa che non può risolvere i problemi a modo suo. Ora ci deve pensare Lionel.

Diego tiene la lingua lunga, quanto Messi è un ragazzo sul filo del silenzio, mai un colpo di voce di troppo. Sono due oceani calcistici che lambiscono l’Argentina costruita per conquistare questo mondo: Maradona si è portato una squadra d’oro puro, calcistico soprattutto. Ha un gruppo di attaccanti da far invidia a qualunque allenatore del mondo, farà scortare Messi da Higuain e Tevez, gli metterà dietro Mascherano e Veron, conta su una difesa quasi di ferro.

Maradona sa che il mondiale è una Malattia per chi non l’ha vinto mai. Una Malinconia che dura quattro anni. Ma anche una Maledizione per chi è costretto a vincerlo. Gioca sempre il fattore “M”. Che poi è quello del Mai dire Mai.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica