Una maschera ha salvato le emozioni

Da trecentosessantacinque giorni più uno, l'immagine che vediamo riflessa quando ci guardiamo allo specchio non corrisponde a quella mostrata in pubblico.

Una maschera ha salvato le emozioni
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Da trecentosessantacinque giorni più uno, l'immagine che vediamo riflessa quando ci guardiamo allo specchio non corrisponde a quella mostrata in pubblico. Convivere con la minaccia Covid ha ridefinito i contorni del nostro viso, prima ancora che delle abitudini quotidiane. Abbiamo assecondato l'esigenza di sovrapporre uno strato ulteriore tra l'essere e l'apparire, una mascherina di tessuto non tessuto, dal momento che l'esigenza di proteggerci a vicenda ha reso il travisamento non solo socialmente accettabile, ma addirittura necessario ad ogni latitudine del pianeta. Per uno strano scherzo del calendario, dal Carnevale dello scorso anno mascherarsi non rappresenta più un'allegoria, quanto una diversa declinazione dell'istinto di sopravvivenza. Senza aver ancora capito come e perché, dall'incubo di Wuhan fino all'epifania di Codogno, anche l'Italia sta al mondo come una tessera di un quadro di Magritte, a metà strada tra l'alienazione di Golconda e l'enigma del Figlio dell'uomo.

Altro che surrealismo, è tutto vero. Perché la mascherina racchiude in sé lo stesso ambivalente significato di omologazione collettiva e di conservazione dell'individuo. Dopo un anno di preoccupazioni e spesso di paranoie, fuori dalle mura domestiche, tendiamo a fidarci molto più del prossimo che lascia intravedere niente più degli occhi rispetto a chi si ostina, infischiandosene delle regole, ad andare in giro a volto scoperto.

Per motivi di orgoglio oppure di marketing, hanno provato a personalizzarle in tutti i modi, le mascherine che ci accompagnano dovunque. Quando sono comparse persino quelle trasparenti, il risultato è stato deludente. Tutto inutile: un velo rimane uno schermo, dopotutto un sorriso per funzionare non ha bisogno di mediazione alcuna. Invece è infinitamente più forte il messaggio nascosto tra i solchi sul viso di quelle infermiere a fine turno, che il Mostro con le sue varianti lo vedono tutti i giorni e ogni giorno ci insegnano a combatterlo. Senza clamore. Come fosse un gesto normale, routiniero, appunto come indossare una mascherina uscendo di casa.

Ecco, se e quando il pericolo sarà scampato non basterà gettare una volta per tutte nell'indifferenziata ciò che doveva essere un asettico dispositivo medico e intanto è diventato una protesi quasi naturale del nostro corpo. Ricordiamoci di quelle cicatrici e di tutto quanto teniamo nascosto sotto l'ultima maschera. Allora sì che avrà un senso toglierla, finalmente.

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