McCurry, quell’obiettivo puntato dentro il cuore

È trattato come una star, Steve McCurry. All’inaugurazione della sua mostra a Palazzo della Ragione (aperta da oggi al 31 gennaio e promossa dal Comune di Milano), uno sciame di giornalisti e fotografi suoi colleghi lo insegue per rubargli qualche espressione. E lui, fotoreporter americano di fama mondiale, si comporta da uomo semplice, paziente, tenendo le mani giunte davanti come fanno gli indù e osservandoti con l’attenzione di chi è concentrato sul tuo spirito. Nessuno può dimenticare i penetranti occhi verdi di Sharbat Gula, la ragazza afgana da lui ritratta nel 1984 in un campo profughi e diventata un’icona come Grace Kelly o la Dama con l’Ermellino. Gli chiediamo che cosa ha provato rifotografando quella giovane donna a diciassette anni dal primo incontro e se si sente affezionato o prigioniero di quello scatto. McCurry si confida dicendo: «Questa domanda mi è stata fatta così tante volte, perfino dal Dalai Lama, che non so più spiegarlo. È stata un’esperienza positiva. Sono un privilegiato per aver visto il mondo e incontrato popoli grazie al mio lavoro. Quella fanciulla, che fu sposa a 13 anni con un matrimonio combinato, mi ha reso famoso e io le ho dato una mano. Ho portato a lei e al suo villaggio aiuti umanitari, è stato emozionante. Ma quell’immagine ha seguito un percorso incontrollabile, vive di vita propria ed è nel cuore della gente per ragioni che io non so definire». Avrà a che fare con le sue innegabili doti artistiche, le stesse che l’hanno fatto entrare all’agenzia Magum nel 1985 e lavorare per molti anni col National Geographic. Lui puntualizza: «Vede, per fare un buon ritratto bisogna stabilire una connessione con le persone, con i comportamenti e il carattere. A volte sono costretto a lavorare rapidamente, perché gli accadimenti nei quali sono immerso lo impongono. In altri casi bisogna saper aspettare che chi ci sta di fronte dimentichi che abbiamo in mano una fotocamera e si lasci andare. È una questione di cuore, più che di testa. Di sentimenti, non di raziocinio». La sua mostra si intitola «Sud-Est» e in 240 opere racconta volti, colori, paesaggi del mondo, soprattutto dell’Asia. Come mai è così forte il suo amore per quel continente? «Mi piace raccontare storie ed emozioni - prosegue -. Amo l’Asia per le sue diversità e contraddizioni, per le esperienze umane, per la moltitudine di culture che ospita. E penso che sia un po’ così anche Milano. Sto valutando proposte per comprare casa qui. Questa città offre molto, ha spunti fotogenici che pochi luoghi vantano, e credo che non debba dimenticare la sua essenza ospitale e il gusto per il bello. L’Expo 2015 sarà una grande occasione. Ho dedicato tre immagini a questo evento (sono esposte, ndr), nelle quali si trova la sintesi dei valori umani: il cibo, l’energia, il pianeta, la vita: le cose più importanti, a ogni latitudine».

McCurry conclude parlando dell’Ambrogino d’Oro ricevuto a inizio ottobre dal sindaco Moratti: «Sono stato informato del fatto che questa scelta dell’amministrazione pubblica ha generato qualche polemica. Credo che sia legittimo dissentire, ma non ho approfondito. Come le ho detto, sono affezionato alla città, l’ho frequentata parecchio nel corso della mia carriera». Info: 02-43353522; stevemccurrymilano.it.

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