Nel 1643 conobbe Elisabetta, pincipessa di Boemia e figlia di re Giacomo I d'Inghilterra. Fra di loro iniziò una lunga corrispondenza fatta di lettere piene di premura e affetto. Fu un'amicizia intensa, di profonda passione e confronto intellettuale; Elisabetta, che parlava sei lingue e studiava la fisica e la matematica, fu sempre sostenitrice del filosofo francese, che a sua volta fu invece medico e amante dell'anima sofferente di lei. Dopo la morte di Cartesio, nel 1650, Elisabetta si ritirò in convento. Lettera tratta da «Lettere d'amore di uomini e donne straordinarie» (Piano B edizioni). Luciano De Crescenzo, che risponde a Cartesio calandosi nei panni di Elisabetta, sarà presente al Festival delle Storie 2015 in Valle di Comino giovedì 27 agosto, Castello di Alvito, (Frosinone), alle ore 21 con l'incontro «Il patto con la felicità», in cui presenterà anche il suo libro «Stammi felice» (Mondadori)
di René Descartes (Cartesio)
A Elisabetta. Signora, non c'è nessuno che non desideri la felicità; ma molti non conoscono il mezzo per raggiungerla e spesso l'indisposizione fisica impedisce che la volontà sia libera, come succede durante il sonno; anche il più saggio del mondo non può fare a meno di avere brutti sogni se il suo temperamento lo dispone. Tuttavia l'esperienza mostra che qualche pensiero avuto quando la mente è libera torna in seguito, qualsiasi indisposizione fisica sia presente; così posso affermare che i miei sogni non mi rappresentano mai nulla di spiacevole e che senza dubbio l'abitudine a non avere pensieri tristi offre un gran vantaggio… Per quanto riguarda le indisposizioni che non turbano del tutto i sensi, ma alterano soltanto gli umori e rendono straordinariamente inclini alla tristezza, come la collera o qualche altra passione, esse provocano certamente dolore, ma si possono superare… Credo sia lo stesso per gli ostacoli esterni, come il lustro di una grande nascita, le adulazioni della corte, le avversità della sorte o anche le grandi prosperità, che impediscono di meditare da filosofo più delle disgrazie. Perché quando si ha tutto ciò che si può desiderare, ci si dimentica di pensare a se stessi e se poi la sorte cambia ci si sorprende tanto più si riponeva fiducia in essa… Tuttavia non credo affatto che occorra disprezzare del tutto o che si debba evitare di provare passioni; è sufficiente assoggettarle alla ragione perché, così addomesticate, sono a volte tanto più utili quanto più sono inclini all'eccesso.
Io non ne avrò mai una più esagerata di quella che mi conduce al rispetto e alla venerazione che devo a voi e che mi rende, Signora, l'umilissimo e obbedientissimo servitore di Vostra Altezza, CartesioEgmond, 1 settembre 1645
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