Dal Medioriente all'assedio di Taiwan. Ecco le zone di crisi della geopolitica

In un mondo multipolare e con nuove potenze il rischio è l'imprevedibilità

Dal Medioriente all'assedio di Taiwan. Ecco le zone di crisi della geopolitica
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All'inizio del suo pontificato, Papa Bergoglio ha ripetutamente utilizzato l'espressione «guerra mondiale a pezzi». Un modo per descrivere il fatto che, seppur in maniera non del tutto evidente, il pianeta è attraversato da una serie di conflitti sempre più interrelati. Negli ultimi mesi l'evidenza dell'analisi del Pontefice, che qualche anno fa sarebbe potuta sembrare fantapolitica, si è accentuata. Giusto per fare qualche esempio, nel 2023 in un solo anno nel mondo si sono contati, a causa dei conflitti, quasi 170mila morti. E da allora la situazione è tutt'altro che migliorata. L'elezione di Donald Trump come presidente degli Usa, qualunque sia l'opinione politica che si ha sull'ex tycoon, ha creato nuovi potenziali fronti caldi. Giusto per elencare i più evidenti. I dazi economici, storicamente parlando, hanno spesso fatto da preludio a scontri di altra entità. Del resto gli Usa sono nati anche a partire dalla rivolta contro i dazi che la Corona britannica si ostinava a mettere sul tè. L'idea di sottrarre la Groenlandia al controllo della Danimarca - anche nell'ottica di contendere più efficacemente le risorse dell'Artico alla Russia - minaccia palesemente la sovranità di un'altra nazione che, tangenzialmente, è membra della Ue e della Nato. Anche le profferte per far diventare il Canada membro degli Stati Uniti non sono state prese bene dai diretti interessati, ovvero i canadesi.

Ma se l'entità delle intemperanze diplomatiche ed economiche di Trump è al momento difficile da valutare sul lungo periodo, ci sono conflitti che ormai sono chiaramente al calor bianco. Sono almeno cinquanta i Paesi che al momento vengono considerati coinvolti in conflitti di varia natura. Ci sono casi estremi come quello del Myanmar, in cui la nazione è letteralmente implosa e sono attivi più di 1500 gruppi armati. Ovviamente in questo quadro spiccano in particolare la guerra in Ucraina, il conflitto nella Striscia di Gaza, gli attacchi dei ribelli Houthi e lo scontro silenzioso attorno a Taiwan. Del resto il collegamento tra queste zone calde e molte altre zone di instabilità è sempre più evidente. Si è a lungo sperato che l'economia globalizzata prevenisse i conflitti; ha invece creato un nuovo modello di scontro. Non siamo più alla Guerra fredda d'antan, ma alla guerra rateizzata, portata avanti mentre i sistemi economici continuano a restare (e potrebbe essere fortunatamente un freno alla violenza) avviluppati gli uni negli altri. Se i dazi trumpiani facessero saltare anche questo inviluppo...

Esistono poi inviluppi alternativi. Partiamo da un esempio banale ma pericoloso. Tra le prime iniziative portate avanti dall'Occidente per mettere in difficoltà la Russia c'è stato il tentativo di bloccare le esportazioni di microchip sofisticati verso Mosca. Tanto che i russi hanno iniziato a modificare i microchip delle comuni lavatrici per utilizzarli nei carri armati. Il progresso in questo settore è stato tale che un comune chip da lavatrice di oggi è decisamente più intelligente dei chip che si usavano nei sistemi d'arma degli anni Novanta. Per di più, molti microchip fabbricati negli Usa vengono normalmente venduti alla Cina. Non è un commercio che possa essere fermato, al massimo daziato, e da lì, secondo molte fonti, vengono triangolati in Russia. Contemporaneamente, però, la Cina, che dipende dai microchip degli Usa per molti versi, minaccia Taiwan, dove si trova la fabbrica di microprocessori più sofisticati del mondo. Se Taiwan cadesse in mano cinese, tutto il sistema dell'economia mondiale ne verrebbe stravolto. Se la Russia avesse potuto invadere impunemente l'Ucraina, come si sarebbe comportata la Cina con Taiwan? E il vantaggio dell'Occidente, con cui vengono aiutati gli ucraini, dipende anche da Taiwan. Ma questo vantaggio funziona vendendo microchip ai cinesi che li rivendono ai russi e minacciano appunto Taiwan. Un rompicapo? No. La norma della guerra «a rate». Del resto il movimento circolare non si ferma qui. La Russia, per concentrare la propria produzione e le proprie risorse limitate, si è ampiamente rivolta all'Iran per la fornitura di droni come il noto Shahed 136, e alla Corea del Nord per la fornitura di munizionamento tradizionale e di carne da cannone.

Il fatto che in un conflitto così delocalizzato per il globo siano simultaneamente in gioco svariate potenze rende tutto molto più complesso di quanto fosse in un quadro bipolare...

Potrebbe bastare una portadroni iraniana (l'ultima creazione della marina di Teheran) utilizzata nel modo sbagliato a scatenare una reazione a catena che porti verso le atomiche? Speriamo di non scoprirlo mai. Intanto in queste pagine abbiamo chiesto ad una serie di esperti di analizzare alcune delle sfaccettature di questo rompicapo geopolitico.

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