Per arrivare ad un bilancio finalmente florido, nonostante la pioggia di fondi pubblici al museo Maxxi guidato dall'ex deputata e ministra Pd Giovanna Melandri, bisogna ancora attendere. Dopo due anni in pesante rosso, il 2013 si è chiuso con un magrissimo utile di 9mila euro, a fronte di 3,5 milioni di euro di finanziamento ministeriale, più altri aiuti. Ma il peggio forse è passato. Grazie ad una provvidenziale legge, dal 2014 in avanti il contributo pubblico annuale al Maxxi sarà di 5 milioni di euro, un maxxi-finanziamento. «Un regalo del Pd alla Melandri» dissero subito i maligni, che già prima, al momento della nomina (sotto il governo Monti) dell'ex plurideputata piddina, in quel momento libera da impegni, avevano protestato per lo scivolo d'oro. «Voglio trasformare il museo nella Tate Modern italiana. Ai miei detrattori do appuntamento fra tre anni per valutare insieme i risultati» replicò lei. Scommessa più facile da vincere se i fondi pubblici raddoppiano, ma comunque... Non è l'unica promessa fatta dalla Melandri, e non è l'unica voce aumentata nel frattempo. Anche il suo stipendio è cresciuto, di parecchio. Doveva lavorare gratis («Vado gratuitamente a rilanciare un'istituzione pubblica»), e invece il suo compenso è diventato di 91mila euro l'anno, più un premio di risultato scoperto dal Fatto fino a 24mila euro. Anche se gli incassi da biglietti sono calati da 1,3 milioni nel 2011 a 900mila euro nel 2013 (ultimo bilancio disponibile), e la sua gestione finora è stata caratterizzata soprattutto da polemiche e infortuni.
Scelte discutibili, come le lezioni di yoga al museo, o l'incarico di segretario generale del Maxxi a Francesco Spano, già docente nelle scuole di formazione del Pd, già consulente legislativo della Melandri, già capo della «Consulta giovanile per il pluralismo religioso e culturale» che la Melandri istituì da ministro delle Politiche giovanili. Quando un giornalista lo scrisse, venne convocato e strigliato a dovere dall'ex ministra dal viso angelico ma dal caratterino tosto.
Le sarà servito anche per vincere le diffidenze dovute al fatto di essere carina, e dunque nell'equivalenza comune meno brava delle colleghe brutte. Soprattutto dentro il suo partito, dove molti la consideravano una raccomandata (da Veltroni), aiutata dall'estetica. Quando si doveva votare per Miss Parlamento, e lei era in gara insieme alla Prestigiacomo, si vestì apposta il più sobrio possibile per non vincerlo. Si tramanda la leggenda di una battuta micidiale di Gianni Agnelli, poi smentita: «Al massimo le farei fare la segretaria, ma la segretaria di un altro». Claudio Velardi, consigliere dell'allora premier D'Alema, sostenne così il suo ingresso nella squadra di governo: «Facciamola ministro, ci vuole una bella donna che venga bene nelle foto». Per la collega Livia Turco Giovanna Settebellezze (soprannome giovanile della Melandri) era sempre troppo inesperta per un incarico: «È troppo giovane per fare il ministro», ma poi lo hanno fatto nello stesso governo. Tiziana Maiolo l'ha definita «lagnosa», perché la tormentò dopo la sua esclusione nel '95 dalla delegazione alla Conferenza delle donne a Pechino. Lei, di tutte le critiche invidiose e cattive, se n'è fatta una ragione: «Penso che in politica la bellezza raddoppi la fatica. Da ministro credo di aver dimostrato con gli atti pubblici quello che valevo. Punto».
Da ministro per lo Sport, per la verità, qualche bordata le arrivò. Il presidente del Palermo, Maurizio Zamparini, la definì «incompetente». Come risposta la ministra fece annullare un'ospitata di Zamparini in un talk show della Rai («Questa è la democrazia nel nostro Paese, questo lascia intendere quale sia l'apertura al dialogo critico costruttivo del nostro ministro!» sbottò l'irascibile presidente). In effetti la Melandri, laureata in economia, giovane dirigente di Legambiente, di sport non si era mai occupata prima di fare il ministro dello Sport, come pure di arte contemporanea prima di fare il presidente del Maxxi di Roma. Ma non è importante, le strade della politica sono infinite.
Per lei, oltre alle ciniche accuse di essere «raccomandata», ha pesato pure la questione parentale. Fin dall'inizio, neolaureata assunta alla Montedison, dove ai piani alti c'era Matilde Bernabei (figlia di Ettore Bernabei, storico direttore generale della Rai), moglie di Giovanni Minoli, che poi è cugino della Melandri. «No, non fu Matilde a farmi entrare in Montedison ha spiegato l'ex ministra -. Entrai con un gruppo di ragazzi dell'università chiamati da Schimberni». E un rapporto di parentela è spuntato anche nella vicenda di Mafia capitale. Uno degli arrestati, Luca Odevaine, ex capo di gabinetto del sindaco Walter Veltroni, l'uomo che moltiplicava i profughi a Roma per lucrare sui fondi per l'emergenza, è infatti sposato con la sorella dell'avvocato Marco Morielli, che poi è il marito della Melandri. E sempre in quell'inchiesta, senza però parentele, è finito anche Stefano Bravo, commercialista della Melandri, quello che ha firmato la dichiarazione dei redditi da presidente del Maxxi. Non solo, Bravo è anche uno dei fondatori della Human Foundation, onlus presieduta stavolta veramente a titolo gratuito dalla Melandri. Lei si è infuriata: «È il mio commercialista da 15 anni, sono addolorata ma anche furiosa per quanto sta accadendo. Gli abbiamo inviato una lettera per chiedergli di lasciare ogni incarico». Accostamento molto sgradevole, in effetti, per una fondazione che si occupa di sociale, e che, grazie al carisma della Melandri, raccoglie donazioni da big come Vodafone, Unicredit, Sorgenia.
Anche al Maxxi l'ex ministra sta portando fondi da sponsor privati.
Quei ricchi che, in altri casi, è meglio non dire di frequentare, come successe per il resort di Briatore in Kenya. Lei negò di essere stata ospite, finché Chi non pubblicò le foto della Giovanna scatenata nella danza. Già pronta per la prossima direzione di un corpo di ballo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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