Mendes, film personale col freno a mano tirato

Empire of Light sembra il titolo di un film avventuroso

Mendes, film personale col freno a mano tirato

Empire of Light sembra il titolo di un film avventuroso. Invece, «l'Impero della Luce» non è altro che la sala cinematografica, sempre più in crisi e, ormai, fonte di ispirazione per tanti registi. Spielberg, Chazelle e ora Sam Mendes, come a voler invocare il «si stava meglio quando si stava peggio» della settima arte, uno sguardo nostalgico sempre rivolto al passato, ai suoi odori e riti, perché questo presente, e ancor più il futuro, è davvero brutto. Una evidente lettera d'amore di Sam Mendes a quella sala, una volta sempre piena, e ora abbandonata dal cinefilo che preferisce il divano di casa. Così come alla figura del proiezionista e alla pellicola, ormai seppelliti dal digitale, come tanti lavori e professioni. «Merito» del cosiddetto progresso.

Come Spielberg, anche Mendes, che data il suo film nel 1981, pesca dai suoi ricordi di adolescente per raccontare la storia di un cinema, l'Empire, situato a Margate, nel quale lavora Hilary (tanto per cambiare, una meravigliosa Olivia Colman), una donna di mezza età che è la manager della sala di proprietà di un uomo (Colin Firth, in un inedito ruolo) che ogni due per tre la chiama nel suo ufficio per farci l'amore, anche se sposato. Una vita squallida, solitaria, che fatica a nascondere un evidente malessere che la tormenta, ovvero la schizofrenia. Una routine che si interrompe quando viene assunto, come maschera, Stephen (Micheal Ward, senza infamia e senza lode), un giovane di colore che sogna di diventare architetto, ma che deve scontrarsi con il razzismo dilagante anche in Inghilterra. Il personaggio di Hilary è ispirato alla mamma di Mendes. Ne nasce un film personale, intimista, sorretto dalla fotografia, eccezionale, di Roger Deakins.

A differenza di Spielberg, però, la scrittura di Mendes si fa a tratti quasi scolastica, un po' troppo da «Manuale Cencelli» dei sentimenti, con una regia poco istintiva, da freno a mano tirato. Insomma, il classico «bravi gli attori, però...».

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