![La Messa cantata per il governo? Qualcuno vada a confessarsi...](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2025/02/14/1739508575-azt8pmbvm42zrfiivu-d-fotogramma.jpeg?_=1739508575)
Bei tempi quando c'era Lui. Mica quelli di adesso, del Sanremoscio o Sanremeloni, tutto Dio, patria e famiglia scrive su Repubblica Cuzzocrea Annalisa e per fortuna, sua e nostra, non ha aggiunto il ben più nobile «che vita di merda» della ormai de cuius della politica Cirinnà Monica. È un Festival del volemose bene, in stile Conti Carlo, tale e quale il Paese che c'è, calcio e musica, spettacolo nazionalpopolare, come piaceva a Baudo e meno al socialista Manca. Ma quella era un'altra Rai, perché qui al Festival si respira aria dealcolizzata, non ci sono monologhi, come ha pensato prima e scritto dopo Saviano Roberto «li hanno vietati per paura di affrontare temi scomodi al potere di turno», in evidente autogol-morra, perché ieri sera è ri-spuntato quel dannato di Roberto Benigni, sì proprio lui, non una copia come accade a certi scriventi che dimenticano però che quando c'era Lui, ai medesimi Festival, passavano in rassegna i meglio fichi del bigoncio della sinistra. Tra Berlusconi II, III, IV si sono visti fior di finti fiancheggiatori e franchi tiratori, da Benigni a Littizzetto, da Haber a Piera degli Esposti, per non dimenticare Luca e Paolo che si esibirono in una spettacolare e raffinata Io ti sputtanerò, dedicata a Fini-Berlusconi. Ecco che allora andava ben madama la marchesa, nonostante il governo o governicchio fosse diretto dal diavolo in persona, ma oggi il gioco è facile e anche sporco. Dodici milioni di italiani seguono Sanremo ma è una fetta di popolo niente affatto democratica, crea fastidio, è quota subculturale, non si accorge di andare a letto intorpidita dalle canzonette e da quell'impersonale persona che presenta l'evento. Ah, nostalgia canaglia di Amadeus che faceva le scarpe a tutti e a se stesso, memorie calde di Fazio, lui sì ne diceva quattro ai potenti e con loro l'Italia si destava davvero.
Anche Cristicchi Simone è diventato un camerata allineato ai disegni di Roma, eppure la sua canzone piace alla segretaria del Piddì e questo un po' spiazza, anzi il giudizio favorevole è stato tenuto sotto cenere dal corteo di manifestanti quasi a ribadire che ormai siamo all'appiattimento totale degli antichi valori. Eppoi quel Cristicchi nemmeno canta, ma parla, sussurra e sono parole, le sue, dedicate a una madre malata, dunque trattasi di bassa speculazione o forse, come ha detto Lucarelli Selvaggia, la canzone è «ampollosa e retorica», voto 4 senza paletta, volete mettere Minchia signor tenente del comico scrittore Faletti o Chiamami ancora amore del professor Vecchioni («è un tipo di brano tra quelli all'italiana: grande sentimento, grande forza di inciso che dovrebbe prendere le emozioni di tutti e sotto un messaggio che sia trasversale, ma di valori. Non parlerò di me, e solo larvatamente...»).
Quelli eran testi e giorni ben più seri e non semplicemente commoventi, non la gnagnera contemporanea allestita ad arte da chi sta al Var del potere e sceglie i membri della Corte costituzionale come il copione delle cinque serate di Sanremo, «cumannari è megghiu ca futtiri», ricorda un detto siciliano. Prodigi del potere e miserie di chi fatica a trovare il vero spunto critico e, in assenza di idee, si aggrappa all'ideologia. Avanti o popolo, fino a stasera, Santa Giorgia. Nel senso del calendario.
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