Non è straordinario ascoltare la battuta tranchant con la quale il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, ha creduto di giudicare la vicenda del burqa? Ha detto che nei musei veneziani tutti entrano vestiti come vogliono, basta che si vedano gli occhi. Pensa ancora che gli occhi siano lo specchio dell'anima, coltiva ancora la splendida certezza, insieme al suo direttore dei Musei civici, che gli usi e costumi altrui, anche quando sono patentemente illegali, anche quando mettono in serio pericolo la nostra sicurezza, vadano rispettati fino a che morte non sopraggiunga. In questo Oriana Fallaci è stata profeta fulminante, immaginando un'Italia di pecoroni, propaggine più debole di un'Europa sbrindellata, dedita a costruire moschee, accettare integralisti, lasciare le donne immigrate in segregazione, permettere circoncisioni ed infibulazioni caserecce, insomma pronta a svendersi.
Leggerete che la cronista del Giornale, capo e testa velati, è entrata ed uscita senza problemi da qualunque luogo pubblico, quando invece una legge del nostro Stato lo proibisce. L'altro cronista, che indossava un casco integrale da motocicletta, non è andato da nessuna parte. Giustamente, dico io, perché in faccia bisogna pur farsi guardare, e c'è la faccia sui nostri documenti. Ma il burqa, allora, perché dovrebbe per forza rappresentare la riservatezza di una donna inerme e disarmata, e perché dovrebbe essere indossato volontariamente, non a causa di un odioso obbligo? Soprattutto, perché dobbiamo essere noi, Paese occidentale e sedicente emancipato, ad accettare, a sopportare questa indecenza?
La sola idea che a qualcuno sia passato per la testa, chiamiamola così, di licenziare il custode che seguiva le disposizioni e rispettava le nostre leggi, mi ripugna. Diciamo che è stato l'eccesso di zelo dei dirigenti politically correct che affliggono le nostre istituzioni e tarlano le nostre opere d'arte. Diciamo che oggi, al massimo domani, lo giudicheremo uno scherzo. Se così non accadrà, sarà bene che i ministri del nostro governo armino un grande casino, di quelli che fanno rumore e che si ricordano. Non siamo più nell'era Prodi. O no?
Resta la dolorosa sensazione, forse la certezza, che il razzismo, odiosa idea e pratica, si sia capovolto, e cammini all'indietro e a testa in giù. Pensate che mascalzone quel custode, che voleva sapere chi ci fosse dietro quel velo, magari preoccupandosi delle ricchezze che custodisce. Pensate a quella povera famiglia, i maschi davanti, magari in jeans e maglietta, perché in laguna fa un caldo tremendo, le femmine dietro, abiti neri, chiusi dalla testa ai piedi, testa schiacciata sotto un tessuto altrettanto pesante, e per finire in bellezza, il volto interamente velato, che non si è potuta godere la sua visitina al museo.
I pochi Paesi liberali dell'Islam vivono vita grama, circondati come sono da pescecani come l'Iran e la Siria, da altri che tengono furbescamente il piede in due scarpe, come l'Arabia Saudita. Il re del Marocco, diretto discendente di Maometto, ha chiuso tutte le moschee sospette di terrorismo, ha proibito la preghiera durante le ore di lavoro, ha tolto il velo alle dipendenti pubbliche, e, nella speranza di cambiare ignoranza e pregiudizi, ha cambiato le foto e le immagini femminili anche dai libri di scuola. Conta naturalmente sull'appoggio dell'Occidente per non fare una brutta fine.
Noi no, siamo troppo occupati a scusarci con coloro che ci frequentano senza rispettarci. Il burqa io lo farei portare al sindaco Cacciari e al suo compare direttore dei Musei civici. Basta un giorno, forse capiscono.
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