Dopo mezz’ora in galleria, tutti giù dal treno e si prosegue a piedi

(...) Sul convoglio, complessivamente, ci sono circa 200 persone. Il treno riparte e, dopo essere entrato di pochi metri in galleria, si blocca con una brusca frenata. Un guasto? Una persona che si è buttata sui binari? Il rispetto di una precedenza? Mistero. Trascorrono 15 minuti prima che il macchinista si faccia vivo: «Davanti a noi c’è un treno in avaria. La circolazione è momentaneamente sospesa». Le carrozze sono senza aria condizionata, la temperatura interna supera i 30 gradi, la gente inizia a lamentarsi. Risolvere il problema sarebbe facilissimo. Anche un bambino capirebbe: con una semplice retromarcia torneremmo di nuovo all’aperto, sulla banchina di Cimiano; le porte potrebbero riaprirsi e la gente uscire in piena sicurezza. Peccato che l’Atm opti per la «soluzione» più complessa: «Andiamo a prestare soccorso al treno in avaria». Una scelta priva di qualsiasi logica. A questo punto il nostro treno comincia a inoltrarsi, con piccoli scatti, nel cuore della galleria. Passano altri 10 minuti. Il caldo è sempre più soffocante, molte persone abbassano i finestrini e urlano: «Non ce la facciamo più!». Ormai siamo al centro del tunnel, a pochi metri da noi c’è il convoglio in avaria completamente vuoto. Alla stazione di Udine (quella immediatamente successiva a Cimiano) mancano 450 metri. A questo punto nei vagoni si materializza il macchinista che, aprendo le porte con la sua chiave di ferro, annuncia: «Tutti a piedi lungo il corridoio di sicurezza, la fermata di Udine dista 450 metri. Basta seguire i cartelli...». Il «corridoio di sicurezza», in realtà, è un budello sporco e al buio largo meno di un metro. Un percorso ad altissimo rischio per anziani, bambini, mamme con le carrozzine e viaggiatori con le valigie. Tra noi si crea un clima di solidarietà, ci sono persone terrorizzate, urla, pianti. Tra il pavimento del vagone e il piano del marciapiede sotterraneo c’è un dislivello di parecchi centimetri. I giovani se la cavano con un balzo, ma chi ha una certa età ha bisogno di essere sollevato di peso. Il macchinista si volatilizza con la stessa velocità con la quale è apparso. Nessuna informazione dall’altoparlante, nessuna indicazione su come affrontare l’emergenza, Atm muta (ma pure cieca e sorda).
Dopo un quarto d’ora di marcia forzata arriviamo sulla banchina della fermata Udine. La linea in direzione Cologno-Gessate è bloccata. Funziona invece, su binario unico, la linea in direzione Abbiategrasso. Peccato che nessuno lo comunichi ai passeggeri. L’altoparlante, inspiegabilmente, rimane silenzioso. Abbiamo gli abiti sporchi di polvere nera.

Ci guardiamo avviliti, depressi. Senza più neanche la forza di protestare. Ma con una tragica certezza: se nella metropolitana milanese dovesse accadere qualcosa di veramente drammatico (attentato o grave incidente) faremmo tutti la morte dei topi.

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