"Mi sono sempre fatta forza usando le mie debolezze"

La madrina della Mostra del Cinema di Venezia: "Per interpretare Dalida ho guardato in me stessa"

"Mi sono sempre fatta forza usando le mie debolezze"

Di lei Alberto Barbera, il direttore della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, ci ha detto: «È una bravissima professionista - ora ricercatissima - intelligente, brava e preparata. Sembra un cosa facile ma non lo è mai». E così, dopo averla incontrata una sola volta, ha deciso di affidarle un compito importante e delicato, quello della madrina dell'edizione numero 81 del festival cinematografico più antico e prestigioso al mondo che si aprirà domani al Lido di Venezia.

Sveva Alviti, di una bellezza diretta, decisa e quasi sfrontata, ha appena compiuto 40 anni ma a soli 17 anni ha lasciato Roma per gli States e la carriera da modella. Lì scopre la recitazione e nel 2009 debutta a Broadway nello spettacolo teatrale The Interrogation. Poi arriva il cinema con Lukas, accanto a Jean Claude Van Damme, Love Addict, dove interpreta una femme fatale, Beignets de Songe di Fabienne Redt, Tra le onde di Marco Amenta, Entres les Vagues di Anaïs Volpé, Aka per Netflix, mentre in autunno la vedremo nella seconda stagione di Nudes su Rai Play. In mezzo il ruolo decisivo per la sua carriera, quello della cantante Dalida nel film omonimo di Lisa Azuelos per cui è stata candidata come Miglior attrice emergente ai premi Cesar nel 2018.

Ora anche madrina di Venezia, è pronta?

«Mi sono preparata tantissimo mettendo in campo il mio lato sportivo, quindi il sacrificio, la dedizione e la gioia. Mi piacerebbe essere una guida e un'accompagnatrice per tutti quelli che verranno al festival, facendoli sentire a casa».

In effetti, prima di tutto questo, nella sua vita c'è stato il tennis.

«Sì ma l'ho abbandonato perché mi sentivo estremamente fragile. Solo dopo ho capito che questa fragilità mi ha dato forza».

Ed è volata giovanissima a New York!

«Il mestiere della modella è più complicato di quello che si pensa perché vieni sbattuta da una parte all'altra e soffri una grande solitudine. Non ero contenta e sentivo che dovevo esplorare qualcos'altro. Ma anche quella volta una debolezza mi ha rafforzato».

Ed è passata alla recitazione...

«In realtà anche quando sfilavo immaginavo di interpretare dei personaggi. Poi una mia amica mi ha regalato un corso a Soho da Susan Batson, dove ho scoperto che potevo fare uscire tutte le emozioni che volevo, anche quelle che mostrano il mio lato oscuro».

Ossia?

«Era qualcosa che volevo esplorare perché sentivo di essere connessa con energie oscure del mio essere».

Che cosa la fa soffrire oggi?

«È un momento molto complicato, le guerre in corso mi creano infelicità e sofferenza. Vedo ogni giorno civili massacrati, donne, uomini e bambini, non c'è più pudore».

Di cos'altro ha paura?

«Come donna, anche se abbiamo fatto tanti passi avanti - ci sono donne presidenti! - penso però che, finché non ci saranno donne completamente libere, noi non saremo mai salve».

Al cinema cerca ruoli impegnati?

«Dico sempre che voglio scegliere film non per il mio aspetto fisico ma per far emergere il ruolo. In Dalida mi sono espressa a 360 gradi ma anche in Tra le onde di Marco Amenta. Mi piace l'idea di accompagnare delle storie in cui raccontare spaccati della società».

A proposito di Dalida, com'è riuscita a ottenere il ruolo di un'icona della Francia?

«Semplicemente facendo ben sette provini a Parigi con il calco del viso, la parrucca... Poi certo, ho avuto l'idea di preparare una canzone particolare, Je suis malade, in cui mi sono messa profondamente a nudo insieme al personaggio e ho sorpreso la regista».

Ha avuto una lunga relazione con Anthony Delon, ha conosciuto il padre, morto da poco?

«No perché era l'epoca della pandemia e Alain Delon stava già male. Ma Anthony me ne parlava tantissimo. Non ho conosciuto l'uomo ma la star rimarrà sempre nei nostri cuori. Oltretutto è stato uno degli ultimi grandi, insieme a Belmondo e a Mastroianni».

Lei ha già girato un corto e ora sta preparando un lungometraggio.

«È un progetto tutto sulle donne, sulla comunità, sullo stare insieme oggi che, con tutti questi social, è diventato quasi strano. E parlerà della fragilità che non è una cosa così brutta».

Però lei è molto social su Instagram.

«Penso di esserlo nel modo giusto. Certo, questa settimana a Venezia starò sempre a postare, è anche normale. Ma in realtà non condivido sempre tante cose. Non è il mezzo il problema, ma come viene usato».

Alla Mostra del cinema incontrerà tanti registi e vedrà i loro film. Se potesse scegliere, con chi di loro lavorerebbe?

«Di sicuro Valerio Mastandrea che porta il suo secondo film da regista e che mi era molto piaciuto con il primo. Poi Pedro Almodóvar, Tim Burton, di cui amo la follia, Gianni Amelio, Luca Guadagnino... E Joker sarebbe pazzesco, Todd Phillips è riuscito a fare un film di intrattenimento in cui rende umano e tridimensionale un personaggio del genere».

L'ultimo libro che ha letto?

«Friends, amanti e la Cosa terribile, l'autobiografia dell'attore di Friends Matthew Perry, morto un anno fa per un'overdose di ketamina».

L'ultimo disco ascoltato?

«Sono una fan dei Coldplay che riascolto sempre».

La serie?

«The Bear, è bellissima».

Il film?

«Perfect days di Wim Wenders, apparentemente semplice ma molto complesso».

Qual è invece il prossimo film che girerà?

«Sono due, uno è Le chemin du retour di Fabio Zito e l'altro è The Other Side of Fame di Erik Bernard sul #MeToo».

Porterà sul palco di Venezia questi temi?

«Assolutamente no, si parlerà solo di cinema».

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