Forse già alla fine degli anni Ottanta nasce l'idea di una grande collezione che si farà Fondazione, per legare il mio nome e quello di mia madre, non a un sogno, o alle carte di uno scrittore e di un critico d'arte, che affida i suoi pensieri e le sue parole a un saggio, a un libro, ma al corpo fisico delle opere, perché sorridano dalle pareti così come fu, e ancora sarà, nella casa di Ro, Ferrara, vicino al fiume che scorre lento e tranquillo come è stata la esistenza di mio padre che, ai suoi trent'anni, nel 1951, lo ha visto rabbioso e furente per poi placarsi ed essere contenuto da possenti argini, come è stato poi durante tutta la mia vita. È irruente, continua, ininterrotta, con allarmi, rari nei decenni, quando si alza e minaccia di straripare, la potenza pura e grandiosa che esprime il Po. Lo ha seguito, fino al Delta, l'occhio prodigioso di mia sorella Elisabetta che ha ripercorso, per il cinema, le strade di mio padre e di mio zio, pescatori nelle lunghe domeniche d'estate. Andavano sul canale dei cuori, a Scano boa, sul Po della Gnocca, e tornavano soddisfatti, mentre le pareti della casa di Ro si rivestivano di una stoffa Fortuny per accogliere i dipinti di varie scuole, accorrenti da ogni parte del mondo. Io segnalavo, come un cane da caccia, e mia madre, la Rina, si appostava come un cacciatore, raggiungendo le prede o partecipando, con favorevole fortuna, a battute d'asta. Così entrarono gli artisti più rari: Severio Ierace, Bernardino da Tossignano, Lambert Sustris, ma anche Lorenzo Lotto e Tiziano, somma ambizione, anticipatamente ceduto alla Cassa di Risparmio di Ferrara.
Mia madre era pronta a osare qualunque sfida, e perfino a sfidare suo figlio, se, in collezione, un mirabile Sassoferrato proveniente dal Museo di Cleveland è presente perché mia madre lo scelse, rifiutandosi di battere, e fingendo di aver sbagliato il numero del lotto, una Deposizione di Giuseppe Bazzani che non le piaceva. Dai nebbiosi tormenti del pittore padano risalì alla pittura limpida, aulica e solenne del Sassoferrato. Un errore provvidenziale. Quando io iniziai la mia avventura, mia madre decise subito di accompagnarmi senza indugi e di assumere un ruolo comprimario dando alla sua vita un'ulteriore svolta. Aveva capito che non mi sarei fermato, e decise di partecipare alla corsa fino in fondo, mettendoci il suo entusiasmo e la sua passione. Di donne così determinate non ne ho mai conosciute. Si fece socio di un sogno esaltante e rigenerò la sua vita. Mio padre continuava a stare sulla sua isola, e mia madre si agitava con me. E agitarsi voleva dire studiare, conoscere, inseguire artisti maggiori e minori, con lo stesso slancio e lo stesso entusiasmo come se fossero stati la materia originaria dei suoi studi. Così da arrivare a stupirmi.
La collezione oggi è dotata di oggetti più intensivamente provenienti da alcune aeree: Ferrara, Venezia, la Sardegna, Faenza e la Romagna. Romagnoli furono Francesco Zaganelli, Ferraù Fenzone, Guido Cagnacci. Faentini gli artisti del Cenacolo baccariniano che prendevano il nome dal loro fondatore Domenico Baccarini, la cui fiamma intensa e breve (visse soli ventiquattro anni morendo nel 1907) accese i loro individuali talenti: Ercole Drei, Domenico Rambelli, Giovanni Guerrini, Francesco Nonni, Giuseppe Ugonia, Pietro Melandri, di ognuno dei quali, con più opere, la collezione è dotata. Ricercati uno a uno. Prima a Faenza vi era stata una fervida stagione neoclassica testimoniata da artisti come Felice Giani e Tommaso Minardi. Due meravigliosi quaderni del primo, il taccuino di viaggio da Faenza a Roma, e quaranta canti di una filosofica e amorosa visione, illustrati, sono stati misteriosamente involati e non se ne trova traccia. Quando Felice Giani lavorò al Quirinale lo accompagnò uno scultore faentino di consonante concezione: Giovanni Battista Ballanti Graziani. Un gruppo plastico policromo, che io acquistai nei primi anni Novanta, negli anni della febbre faentina era siglato e datato nella parte posteriore. Era sempre stato per me un mistero. Una notte, come ispirata, mia madre ne riconobbe incontestabilmente le cifre del nome e del cognome di Ballanti Graziani, 1816.
Non potevo escludere che nelle nostre escursioni faentine se ne fosse annotato il nome, da me in più occasioni ricordato. Ma non potevo credere che l'avessi a tal punto memorizzato. Del Ballanti Graziani inseguii per molto tempo una terracotta con San Giuseppe e il bambino senza mai riuscire ad acquisirlo, ma il riconoscimento di mia madre fu per me il sigillo di una sua compiuta immersione nel mondo dell'arte fino a limiti imperscrutabili. Negli anni le divennero familiari artisti rari come Giulio Sartorio, Andrea Spadini, Quirino Ruggeri, Libero Andreotti, Alberto Gerardi, Publio Morbiducci, Enrico Astorri, Costantino Barbella. Temo che non abbia fatto in tempo a vedere il capolavoro di uno dei suoi prediletti: la Crocifissione di Gaetano Previati. Imponente, solenne rappresentazione del soggetto capitale dell'arte cristiana che io non avrei acquistato, per quanto era impegnativo, se non avessi dovuto chiudere l'allestimento della mostra delle sculture di Giovanni Pisano, scese dal Battistero di Pisa per essere viste nella chiesa restaurata di San Gottardo in Corte a Milano, in occasione dell'Expo 2015.
L'acquistai vedendola nella posizione ideale nell'abside disadorna della chiesa. La feci arrivare da Genova a Milano il 31 ottobre. Mia madre morì il 3 novembre.Cristo, forse, l'ha attesa in paradiso. Dove oggi l'ha raggiunta mio padre.
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