Una sera di alcuni anni fa, durante un concerto diretto da Daniele Gatti, una signora seduta in prima fila armeggiava sul suo smartphone invece di ascoltare la musica. «La vedevo racconta il direttore - ogni volta che mi rivolgevo ai primi violini». Gatti (occhio di lince) ricorda perfino cosa la signora consultasse: «Il sito di un'agenzia immobiliare». Improbabile che un disinteresse simile si ripeta stasera all'Auditorium Parco della Musica di Roma, dove fino a giovedì, per la stagione dell'Accademia di Santa Cecilia, il grande maestro (dal 2026 designato direttore musicale della Scala) guida un evento imperdibile. Il ciclo delle nove sinfonie di Beethoven. «I cellulari non ci connettono fra noi riflette - ci isolano. Ma forse ascoltare insieme Beethoven può ricreare quello spazio condiviso, quella gioia partecipata che altrove rischiamo di perdere».
Cosa significa dirigere tutte le sinfonie beethoveniane? Ce n'è una che preferisce alle altre?
«È la prima volta che le dirigo tutte nell'arco di soli dodici giorni. Questo offre a tutti noi una preziosa continuità di visione. È come fare tutti assieme un grande viaggio dentro alla bellezza. Quale preferisco? Uber alles, la Terza, o Eroica, e la Sesta, o Pastorale. E c'è un perché: mentre mi aspettava mia madre ascoltava spesso la Pastorale. E la Pastorale è stata la prima sinfonia che abbia udito in vita mia».
Beethoven è identificato da tanti luoghi comuni: il volto accigliato, «il destino che bussa alla porta»...
«Un bel luogo comune è come un buon bicchiere di vino: fa simpatia. A patto che poi, però, si approfondisca. Il destino che bussa alla porta? Quale destino? E quale porta? Non scherziamo. La musica è astratta: non dipinge fatti, evoca emozioni. Beethoven non era un orso inavvicinabile che componeva sullo sfondo di una burrasca romantica. Amava la vita, amava le donne, gli piaceva andare a bere nelle taverne».
Ai neofiti pare un miracolo che scrivesse musica pur arrivando gradualmente alla totale sordità.
«Mentre in realtà è possibilissimo farlo. Anzi, sotto certi aspetti, addirittura facilita. Più che al pianoforte un musicista sente la musica nella sua testa. È come quando scrivi una lettera: prima elabori il pensiero in te, poi lo trasferisci su carta. Paradossalmente la sordità mise in Beethoven nella condizione di non essere disturbato da nulla mentre, dentro di lui, sentiva cose miracolose come l'incipit della Quinta Sinfonia».
E dunque qual è il vero miracolo della musica di Beethoven?
«Quello di aver trasformato la sinfonia ereditata da Haydn e Mozart in una forma nuova che ha influito su tutta la musica successiva. Haydn compose 104 sinfonie. Sfornava un uovo al giorno - dice Massimo Mila -. Beethoven invece ha avuto 9 parti. Il che da l'idea della grandezza di quelle nove, irripetibili creazioni».
Quale valore pensa abbia Beethoven per il grande pubblico? E quale ne ha per lei?
«Beethoven sta alla musica come Maradona al calcio: lo conoscono tutti, anche chi detesta la classica. Ma bisogna approfondire, per capirlo. Non come quelli che al Louvre fanno mezz'ora di fila per vedere la Gioconda, e poi le restano davanti sette secondi, giusto il tempo di usarla come sfondo per i loro selfie.
Per me lui è un uomo (e quindi un musicista) traboccante d'amore, colmo di purezza, di generosità d'animo. Uno che non ha mai perso la fede; neppure in mezzo a tante disgrazie. Vorrei averlo solo una volta a cena a casa mia. Oppure citofonargli e farlo scendere per andare a bere qualcosa insieme. Cosa? Una birra, ovvio».
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