«La mia Romania non ha memoria, Ceausescu è un fantasma»

Filip Florian, autore romeno di Dita mignole (Fazi, pagg. 250, euro 17,50, traduzione di Maria Luisa Lombardo, presentato al Salone del Libro di Torino), questo libro non avrebbe potuto scriverlo prima che le immagini dei disordini di Timisoara, della deposizione e della sommaria esecuzione di Ceausescu e della moglie facessero il giro del mondo. Correva l’anno 1989 e, un ventennio dopo, Florian ci regala un affresco storico del suo Paese, una cavalcata nel ventre dell’Europa e un’ode farsesca alla sua terra, con numerosi personaggi che si sfidano, in una tenzone grottesca, per risolvere l’arcano con cui il libro si apre: il ritrovamento di una fossa comune zeppa di cadaveri a cui sono stati amputati i mignoli.
Florian, che aria si respira oggi in Romania, sul piano creativo?
«Si realizzano opere straordinarie in ogni campo, nonostante sia quasi inesistente il sistema delle borse di studio, dei premi e delle residenze di creazione. Tuttavia gli artisti sono straordinariamente creativi e respirano un aria di grande libertà».
Come ricorda il regime di Ceausescu?
«Ho vissuto i miei primi 21 anni sotto il regime e questo passato mi è penetrato nel sangue come una malattia inguaribile. So cosa significhino la censura e il terrore comunista. Mio zio è stato detenuto politico e tutta la mia famiglia ne ha patito le conseguenze».
Il ritrovamento di una fossa comune è un fatto vero o un artificio narrativo?
«Si parla di 200mila persone scomparse nelle prigioni comuniste. Nessuno sa dove siano i corpi dei leader politici dei partiti democratici interbellici, uccisi nelle prigioni. Sfortunatamente, a quasi nessuno interessa che quelle ossa vengano ritrovate».
Come si è realizzata nella Romania odierna la convivenza tra carnefici e vittime?
«Purtroppo la maggioranza dei romeni sembra non avere memoria. C’è la pressione del vivere quotidiano, ma non credo sia una giustificazione. In 45 anni di comunismo troppi si sono macchiati di collaborazionismo con il regime e questa vergogna fa chiudere loro gli occhi davanti alle disgrazie altrui. Per chi non ha dimenticato è doloroso assistere a tutto ciò, soprattutto perché ancora molti politici e nuovi miliardari hanno avuto legami evidenti con la Securitate o con le alte sfere del vecchio Partito comunista».
Il senso della storia è l’elemento centrale di Dita mignole. Come mai?
«Il passato romeno è parte di un passato più grande, non solo quello dell’Europa, anche quello di un mondo che è uscito ferito dall’ultima guerra mondiale e che ha continuato a fare grandi scempiaggini. Ma non credo che la letteratura debba tener conto dei confini geografici, dei periodi storici o di altri vincoli».
Non sempre in Italia i romeni vengono percepiti positivamente. Come viene percepita l’Italia dai romeni?
«Per moltissimi l’Italia è un piccolo El Dorado. Fra i romeni oggi in Italia molti sono avventurieri e piccoli-grandi criminali. Non dimentichiamo che sono persone povere andate via da casa per lavorare e realizzarsi, non per turismo. Credo sia successa la stessa cosa agli italiani emigrati in Usa».
In Romania si è registrato un fenomeno simile a quello dei desaparecidos?
«Due cose mi hanno spinto a inserire nel romanzo un gruppo di argentini.

In primo luogo, l’incapacità dei romeni di chiarire da soli il proprio passato e le proprie colpe; poi, la convinzione che tutti i crimini politici siano uguali e non legati a un orientamento politico. In due emisferi diversi, in Argentina e in Romania, due regimi totalmente opposti, una giunta militare fascistoide e una dittatura comunista, hanno commesso crimini identici, orribili».

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