Vestito di nero fra tanti abiti da uomo rigorosamente neri, il primo stilista cinese a debuttare domani sera nel calendario ufficiale della Camera Nazionale della Moda Italiana, mostra meno dei suoi 56 anni. «In Cina alla mia età si va in pensione» dice Ji Wenbo asserendo di sentirsi molto giovane rispetto ad alcuni grandi designer. Ma il suo curriculum dice che ha lavorato tanto prima di avere l'onore di sfilare a Milano. «Da piccolo quando pensavo alla moda la associavo alla vostra città» aggiunge annunciando un défilé di moda maschile per la prossima estate allestito nelle sale di Palazzo Serbelloni, con tanto di cena haute cuisine e ospiti illustri fra cui il console e il vice ambiasciatore cinesi. Insomma un sogno che si avvera per un talento che non si è risparmiato la gavetta. Dopo gli studi di design all'università, si è specializzato nella moda e poi ha cominciato a lavorare in fabbrica svolgendo tutti i ruoli possibili e immaginabili. Un'esperienza che gli ha permesso di apprendere i trucchi del processo produttivo compresa l'arte del taglio e del cucito. Questa profonda conoscenza gli ha fatto meritare la direzione della China Fashion Designers Association e quella dell'associazione che nell'ambito dell'abbigliamento maschile fa ricerca di nuovi trend. E nel 2004 anche il prestigioso Golden Award conferitogli dalla China International Fashion Week. Ora guida anche un'omonima agenzia basata a Xiamen in una delle quattro aree economicamente più rilevanti della Repubblica Popolare, attraverso la quale si occupa di design, produzione e promozione del suo marchio, Jiwenbo e di altre etichette. Abita a Pechino e ha una fabbrica nella provincia di Shangdeng con oltre mille dipendenti. Ecco cosa ci ha spiegato alla vigilia di questo importante appuntamento.
Quale concetto ispira il suo lavoro?
«Guardo alla filosofia zen e al rapporto fra due particelle, "she" e "de" che rispettivamente significano cedere e lasciar andare e poi ottenere e vincere. Significa eliminare il superfluo in tutti gli aspetti della vita e conservare solo le cose necessarie».
Come lo ha tradotto in moda?
«Sottraendo tutto ciò che non serve e tenendo l'indispensabile. Proponendo perciò uno stile minimalista».
Cosa c'è nell'indispensabile?
«Sicuramente un riferimento alla cultura e alla tradizione del mio Paese attraverso modelli che seguono la linea del corpo come fa per esempio il più tradizionale degli abiti cinesi, il qipao».
Che ruolo hanno i tessuti?
«Sono tutti speciali perché disegnati da me e fatti realizzare in un'azienda su mio input. In questa collezione ci saranno prevalentemente delle bellissime sete».
Perché la moda italiana piace così tanto ai cinesi?
«Negli ultimi anni in Cina c'è stato un incremento considerevole di acquisti di beni di lusso in quanto sono cresciute le disponibilità economiche di certe fasce sociali. In particolare sono molto attenti alla moda internazionale i giovani e fra questi molte stelle del cinema e della TV, operatori economici e business men, tutti coloro che svolgono professioni creative e guardano con attenzione all'Occidente».
Cos'ha in comune lei con Francesco Fiordelli, responsabile all'interno della Camera Nazionale della Moda Italiana, delle relazioni Italia- Cina?
«A lui piace molto la Cina e a me piace molto l'Italia. Quindi coltiviamo un interesse reciproco e nutriamo molta stima l'uno per l'altro».
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