"La mia Sophia Loren diva geniale e gran cuoca". Intervista a Enrico Lucherini

Lo storico agente dell'attrice che oggi compie 90 anni: "All'inizio mi insegnò lei i trucchi del mestiere"

"La mia Sophia Loren diva geniale e gran cuoca". Intervista a Enrico Lucherini
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Festival di Cannes, anno 1961, première de La Ciociara. Una folla straripante si accalca contro le vetrate del Palais du Cinema. Attende Sophia Loren. C'è anche Enrico Lucherini, press agent della diva, che al braccio, sotto allo smoking, indossa una gomitiera d'acciaio: come quelle delle antiche armature. Quando Sophia appare, la folla preme paurosamente. Allora Lucherini sferra una gomitata alla vetrata. Un boato e l'enorme cristallo viene giù, in una pioggia di schegge. Grida, pianti, fuggi fuggi generale. «Il giorno dopo racconta Lucherini, soddisfatto - i giornali di tutto il mondo titolarono Il delirio per la Loren fa quasi crollare il Palais du Cinema». Oggi l'uomo che con le sue travolgenti trovate, le leggendarie lucherinate, contribuì alla popolarità della diva (e che la conosce come nessun altro) è stato il primo a farle gli auguri per i suoi novant'anni.

Lucherini: ha già chiamato Sophia?

«Certo. Con due giorni d'anticipo, per non trovare il telefono occupato. Una chiamata affettuosa. Le mie follie hanno sempre divertito molto Sophia. E lei stima me almeno quanto io stimo lei. Cioè tantissimo».

Cosa ha significato essere press agent dell'attrice italiana più famosa al mondo?

«Finire al centro di un uragano. Non potevamo girare per negozi che si radunavano folle oceaniche. Una volta, per uscire indenni da Bulgari in via del Corso, dovemmo chiamare la polizia. Un'altra, per un festival in Calabria, dovemmo passare la notte segregati nella cantina di un albergo, e fuggimmo all'alba sotto scorta, Sophia ancora in abito da sera perché le valigie erano finite preda della follia divoratrice dei fan».

Quali sono le qualità umane di Sophia? E quali quelle professionali?

«Sophia è spiritosissima, socievole, simpatica. Un soldato sul lavoro - il copione tutto a memoria ancor prima di girare - ma anche compagnona: sul set giocava a carte coi macchinisti, cucinava lei per tutti. M'ha insegnato ad aggiungere un pizzico di zucchero nella salsa al pomodoro. E non parla mai male di nessuno».

Neppure della sua rivale di sempre, la Lollobrigida?

«Di lei non parlava proprio. Penso che neppure la considerasse. Solo qualche frecciatina gelida. Quando la vedeva sull'asinello di Pane, amore e fantasia, Ecco - diceva - ad andare sull'asino è bravissima».

È vero che fu soprattutto Sophia ad insegnarle il mestiere di press agent, che in Italia non esisteva?

«Almeno all'inizio sì. Lei riportava dall'America i trucchi imparati laggiù. Come quello delle foto rubate, ad esempio. Se il set era vietato ai fotografi, Enrico mi diceva - nascondine uno fidato che mi fotografi come se io non lo sapessi. Se i giornali rifiutavano le sue foto migliori, Falle ristampare con una calza davanti all'obbiettivo. Così verranno sgranate e sembreranno rubate. Vedrai: se le litigheranno».

Com'è la Loren nel rapporto con i giornalisti di tutto il mondo?

«Geniale. Quando girava nella Germania dell'Est I sequestrati di Altona, da un testo di Brecht, la vedova dello scrittore Helene Weigel convocò una conferenza stampa per strapparle dichiarazioni a favore del comunismo. Lei, per evitarlo senza offendere la Weigel, finse di essere afona. Scrisse su un biglietto: Stamattina sono senza voce. Al posto mio risponderà Lucherini. E io potei glissare sull'argomento».

Eppure ci fu un periodo in cui Sophia risultava antipatica, soprattutto al pubblico femminile.

«Sì: nei primi tempi della sua storia con Ponti, che era sposato, s'era fatta la nomea di rovinafamiglie. Bisognava rimediare. Decisi di sfruttare la sua difficoltà a diventare madre. Appena vedevo un bambino, per strada o su un set, glielo piazzavo fra le braccia, e davanti ai fotografi lei lo copriva di baci. Lei adorava i bambini. Quelle foto la trasformarono nell'eroina di tutte le donne che non riuscivano ad avere figli».

È mai successo che le abbia detto: «No Enrico, fermati: stavolta stai esagerando»?

«Per I sequestrati di Altona. Era un film contro il nazismo che nessuno andava a vedere. Allora, col mio socio Matteo Spinola, di notte, dipingemmo svastiche sul muro della villa di Sophia. Pensi che pubblicità: ne avrebbero parlato tutti i giornali! Eravamo appena rientrati che lei ci telefonò: È un'idea che non mi piace, lasciate perdere. Dovemmo tornare di corsa a cancellare tutto, prima che qualcuno se ne accorgesse».

Come vive Sophia il suo successo universale? S'è mai montata la testa?

«Solo un pochino, dopo l'Oscar alla Ciociara. Firmava tutti gli autografi aggiungendo Anno Oscar 1962. Come si trattasse di una data Prima o Dopo Cristo. Ma la sua fama la sfrutta anche con generosità. Come quella volta che, in America, andò a sentire Ella Fitzgerald in concerto.

Alla cena che seguì avrebbe voluto complimentarsi con lei. Ma Ella era confinata in un'altra sala, riservata alle persone di colore. Allora lei s'impuntò: Se non fate sedere Ella al mio tavolo me ne vado. Detto fatto: riuscì ad averla accanto a sé».

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