Milano torna capitale della politica e la gente corre di nuovo ai seggi

Tutti pronti a parlare di un fenomeno-astensione che poi non c’è Altroché disaffezione: la competizione accesa mobilita i cittadini

«Affluenza alle urne in calo» così, da tutti i telegiornali e giornali radio, veniva descritta ieri, fino al tardo pomeriggio, la situazione del voto amministrativo. «E noi, che la sappiamo lunga, l’avevamo previsto e ve lo abbiamo anche detto»: questo non lo aggiungevano ma si intuiva dal modo, fra il disappunto e il compiacimento, con cui la notizia veniva data. Modo imposto da un diffuso pregiudizio: la gente è stufa della politica e perciò non va a votare. Ma il fatto è che la notizia non era esatta. Anzi, era abbondantemente inesatta, o meglio provvisoria, giacché più tardi, e a Milano fin dal mattino, le cose andavano diversamente, molto diversamente: l’affluenza alle urne era perfino più alta di quella del 2006.
Ora, dopo averci ripetuto fino alla noia durante tutta la campagna elettorale che la piazza milanese è «la più significativa», che il voto di Milano ha «valenza nazionale», quello dal quale si possono ricavare le «indicazioni politiche» più importanti e perfino «decisive»; insomma, dopo aver tanto insistito su questo punto, il buon senso e la ragione imporrebbero, proprio per trarre delle considerazioni generali, di non ignorare il fatto che, per quanto riguarda l’affluenza alle urne, cioè l’interesse della gente per queste elezioni, Milano va in controtendenza - cosa che, per altro, le accade spesso. Che fine ha fatto, dunque, l’analisi piuttosto rozza e facilona secondo la quale la gente non va ai seggi perché non ne può più della politica? Sbagliata?
Anche in altre grandi città, ad esempio a Torino, e in qualche centro minore, l’affluenza al voto non è in calo. Da questo quadro così differenziato si può ricavare, dunque, almeno questa conclusione: la gente è andata più volentieri alle urne lì dove queste elezioni hanno un più forte valore politico, o dove la competizione è particolarmente accesa. Che è esattamente il contrario del teorema sulla disaffezione dalla politica. Anzi, l’elettore si muove più volentieri dove c’è «più politica». Come qui, a Milano. Queste considerazioni, come la ben nota poesia di Trilussa sul pollo, confermano che, in realtà, la media è sempre menzognera, soprattutto in politica, giacché nessun elemento utilizzato per calcolarla le corrisponde esattamente. Semmai sono più interessanti le eccezioni, soprattutto se sono particolarmente significative: come Milano in questo caso, appunto. E dalla eccezione-Milano ricaviamo che, per portare la gente a votare, bisogna fare politica, magari anche con asprezze e colpi bassi, e convincere l’elettore che la posta in palio è importante. Principio che, per la verità, i politici e i partiti di una volta, quelli della tanto esecrata Prima Repubblica, conoscevano benissimo.
Personalmente sono convinto che a Milano, durante la campagna elettorale, si sia parlato fin troppo poco dei problemi della città e fin troppo di politica generale, talvolta perfino con implicazioni ideologiche retrò. Ma il risultato, come vediamo, è stata una più forte mobilitazione. È noto che l’elettore milanese, per cultura e per il sistema di interessi nel quale è inserito, pur restando molto sensibile ai problemi della sua città, li inserisce in un quadro politico più generale.

Perché sa - non ha dovuto aspettare che venissero da Roma a ricordarglielo in questa campagna elettorale - che «Milano ha valenza nazionale» - e non solo per il voto. E sa anche che a dimenticarlo, semmai, sono proprio i politici, appena la campagna elettorale è finita.

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