Il primo sorso fu anche l'ultimo. Morì bevendo, Luigi Fontana. Il farmacista vuotò un Crodino offertogli da un amico, l'imprenditore Gianfranco Bona. Un Crodino «corretto» al cianuro. Letale. Tredici giorni di coma, poi il decesso. Era il 15 aprile del 2012. E ieri è arrivata la sentenza che condanna con rito abbreviato l'assassino a 20 anni di reclusione per omicidio aggravato dalla premeditazione, e per il tentato omicidio di Francesco Bruno, il magazziniere che lavorava per Fontana e al quale era stato servito un caffè avvelenato, fortunatamente non consumato.
Nel corso del processo - a porte aperte nonostante fosse davanti a un gup -, l'imprenditore reo confesso aveva raccontato la sua versione. Una storia di denaro ed esasperazione. «Mi aveva prestato soldi con tassi usurari - aveva detto al giudice Luigi Gargiulo - , io non riuscivo a restituirli e lui mi ha minacciato dicendomi ti veniamo a prendere a casa». nella sua requisitoria, il pubblico ministero Carlo Nocerino - che aveva chiesto l'ergastolo per l'assassino- aveva spiegato che c'era un «rapporto usurario» tra la vittima e Bona, ma che la versione dell'imprenditore non era totalmente credibile. Non era chiaro, ad esempio, che cosa l'imprenditore facesse dei soldi presi in prestito, «dato che non li metteva nell'azienda in crisi». L'avvocato Daniele Melegari, che rappresenta con il legale Nadia Alecci i familiari della vittima, era intervenuto in udienza spiegando che Bona aveva cercato in tutti i modi di «calunniare e diffamare una persona che ha già ucciso», anche attraverso una memoria difensiva «in cui si è puntato solo a screditare e diffamare Fontana, mentre nessuna parola chiara è arrivata da lui su questi presunti prestiti ad usura».
Una storia oscura, un rapporto ambiguo tra vittima e carnefice. Amici da vent'anni, Bona e Fontana, legati dalla professione. Il primo, trasportatore di medicinali all'ingrosso, aveva tentato di allargare il proprio business nel settore farmaceutico, ma senza successo. Tanto da dover chiedere un prestito al farmacista, titolare di un negozio in via delle Forze Armate. E così erano nati i debiti: 270mila euro che Bona doveva a Fontana. La parte più chiara dell'intera vicenda sta proprio nella fine. Ripresa dalle telecamere di sicurezza della farmacia. Nelle immagini del 2 aprile dell'anno scorso, l'imprenditore veniva immortalato mentre serve un crodino e un caffè a Fontana e a Bruno. Un aperitivo come tanti, per i due era un'abitudine. Quel giorno, però nel Crodino bevuto dal farmacista era stato versato del cianuro. Una dose dieci volte più alta di quella sopportabile dall'organismo umano, un veleno che gli era stato fornito dallo stesso Fontana.
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