«Quando incontro i miei vecchi amici ci diciamo: chi se ne andrà prima, io o tu?». Ride di gusto Tenzin Gyatso, il Dalai Lama, durante il suo incontro all'ora di (non) pranzo con gli studenti della Bovisa al Teatro degli Arcimboldi. Tra i ragazzi qualche infiltrato con i capelli bianchi, papà con i bambini, rari ex teenagers, ma nella gran parte dei casi si tratta di giovani. Arriva Lamberto Bertolè, presidente del consiglio comunale, a conferirgli la cittadinanza onoraria. Poi si parte con le domande dei ragazzi, timide, prima di diventare più audaci e mescolarsi con i temi di politica estera trattati al mattino con i giornalisti in Curia (a seguire le risposte su questi argomenti date in entrambe le sedi).
La Cina, le religioni, gli attentati. «È un pensiero perverso usare la religione per danneggiare gli altri. Impensabile». E ancora: «Purtroppo c'è chi si appropria del nome della religione per portare avanti conflitti. Invece i tratti comuni a tutte le religioni sono la pace e la tolleranza, l'amore e la compassione». Un pensiero pieno di ottimismo, rivolto anche al futuro, nonostante il terrorismo che il Dalai Lama si rifiuta di chiamare islamico.
Ma pur in mezzo ai drammi personali e storici, la cifra di Tenzin Gyatso è l'ironia. Battute continue. «A parte il Giappone, tutte le altre nazioni buddiste non mi hanno dato il visto. Perché sono buddista!» dice con un sorriso.
Poi entra nelle controversie con la Cina, che riguardano anche il futuro Dalai Lama, che la Cina pretenderebbe di poter indicare: «È dal 1969 che dico che l'istituzione del Dalai Lama dipende dal volere dei tibetani, se il popolo lo vuole ci sarà, altrimenti... Invece sembra molto importante per i cinesi». Ironizza: «Sono più preoccupati della reincarnazione del Dalai Lama di quanto non lo sia il Dalai Lama stesso! Perché non pensano alla reincarnazione di Mao Tse Tung e Deng Xiaoping?». In ogni caso, aggiunge, lui da tempo ha abbandonato ogni incarico politico ed è anche contrario alla separazione del Tibet dalla Cina.
La contraddizione della Cina («eppure il Partito comunista cinese non professa alcuna fede in niente»), dove comunque vivono 400 milioni di praticanti buddisti, fa venire in mente al Dalai Lama un ricordo molto comunista e molto italiano: «Mi hanno detto che Enrico Berlinguer aveva tanto rispetto per le religioni che portava la moglie in macchina tutte le domeniche».
Tra i tanti, a un certo punto una coda, che si mettono in fila per domandargli qualcosa, ecco il cinese Sergio Gao, da 30 anni in Italia, che chiede al Dalai Lama di tornare in Cina. Lui è dolce ma realista: «Ora il governo cinese ha una linea molto più dura di prima. Se vado in Cina, mi prendono e mi mettono in prigione». Racconta che in Cina ci sono 300 milioni di persone che seguono la tradizione tibetana. «La popolazione Han (il gruppo etnico maggioritario in Cina, ndr) e tibetana hanno legami e conflitti molto stretti. Ogni settimana ho cinesi che vengono a trovarmi dalla Cina a casa mia e quando mi vedono piangono».C'è anche una domanda sull'eutanasia che ha chiesto, o almeno evocato, il prelato anglicano Desmond Tutu, amico di Mandela e del Dalai Lama. «Tutu è un grande essere umano, uno dei miei amici di più lunga data. Scherziamo e ci prendiamo in giro a vicenda.
Ma per quanto riguarda come è quando si muore non abbiamo nessun potere su questa cosa». Scherza anche su un tema così difficile: «Non so quali siano le ragioni per cui ha da etto questa cosa ma so che recentemente è andato in ospedale a farsi curare, così non credo abbia troppo a voglia di morire».
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