«C'avete solo la nebbia» urlavano i tifosi romanisti dalla curva sud dello stadio Olimpico a quelli del Milan. Un refrain spesso intonato anche ai raduni anti leghisti che si organizzavano nella «Roma ladrona».
Oggi, mentre la nebbia arriva ogni tanto a lambire perfino il lungotevere, la musica è però cambiata: a quei toni un po' sbruffoni e a quello sguardo compassionevole di chi scruta, dalle cime assolate dei Colli romani il grigiore padano si è sostituita un'invidia tanto genuina quanto intensa. Insomma, come si dice nell'Urbe, i romani «stanno a rosicà». Perché - lo conferma il consueto sondaggio annuale del Sole 24 Ore pubblicato due giorni fa- ai piedi della Madonnina funziona tutto alla grande, mentre sotto lo sguardo preoccupato della Lupa la capitale cade a pezzi.
Se il 61 per cento dei milanesi dice di vivere «molto o abbastanza bene», il 72 per cento dei romani sta «molto o abbastanza male»; se per tre residenti su quattro a Roma si vive peggio dello scorso anno, a Milano il malcontento sfiora solo un cittadino su quattro. E non è soltanto perché qui gli autobus passano puntuali, le strade sono pulite e i servizi pubblici hanno una qualità invidiabile, ma anche perché il turismo cresce (di quasi il 3 per cento nel 2016 rispetto al già florido anno di Expo) e la cultura sa cogliere le sfide giuste. Mentre la Capitale si becca un bel 3 in materie in cui anni fa primeggiava.
I numeri, si sa, a volte sono un po' freddini, ma basta farsi una chiacchierata con i diretti interessati per coglierne l'insofferenza. Fino a pochi anni fa, la vita nel capoluogo lombardo era considerata una sciagura pari al carcere a vita, oggi invece il romano accoglie il nordico avventore più o meno così: «Arrivi da Milano? Benvenuto nel terzo mondo, allora». E l'amarezza è soprattutto quella dei giovani, di chi cioè non si arrende al degrado e che - vittima delle generazioni precedenti da sempre adagiate sugli allori delle bellezze urbanistiche o accomodati su fiumi di finanziamenti pubblici polverizzati nel corso degli anni - ora sogna un futuro lontano.
Dal Pigneto a San Lorenzo, dall'Esquilino a Testaccio, non c'è un cristiano che non si vergogni davanti ai marciapiedi che non vedono una pulizia dagli anni di Giulio Cesare. Ed è sparita anche l'ultima consolazione del clima più caldo e del cielo più blu: anche quello di Milano, su Instagram, ha un colore, soprattutto quando il riscaldamento globale regala 22 gradi il 27 dicembre. Il milanese baùscia è ormai un reperto archeologico, mentre i romani hanno la bava alla bocca non appena sentono parlare di Fondazione Prada, Salone del mobile (ora anche del libro), sfilate e via dicendo.
E il lavoro? Incredibile, a Milano se mandi il cv a volte lo trovi. A Roma, se non hai almeno uno zio in Parlamento, non ti fila nessuno. E così, sulle barricate della romanità, sono rimaste soltanto le signorotte radical chic che girano in bici intorno a Piazza Navona e che comprano le puntarelle a 10 euro al chilo al mercato-gioielleria di Campo de' Fiori, oppure gli adolescenti che sfoggiano le loro macchinine davanti al locali fighetti dei Parioli, quartiere fortezza fuori dal quale è vietato mettere il naso. Perché Trastevere è roba da «poracci», al massimo ci si può spingere fino a Prati.
Il resto della città, periferia in prima fila, guarda Milano come il paese del Bengodi e
il bistrattato capoluogo padano si prende la sua rivincita. Con l'eleganza che le è propria, grazie alla quale non esisterà mai un «c'avete solo il Colosseo». Perché «Roma è sempre Roma», anche se «proprio non ci vivrei».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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