Centinaia di persone pronte a vendere qualsiasi cosa sotto gli occhi impotenti dei vigili

Centinaia di persone pronte a vendere qualsiasi cosa sotto gli occhi impotenti dei vigili

Brutti sporchi e forse cattivi. Come nel vecchio film di Ettore Scola, compaiono verso le 8 del mattino, a decine, forse centinaia, spingendo carrelli e carrozzine traboccanti di stracci, seguiti da bimbi seminudi e scalzi. Rom o semplicemente disperati, si avviano incuranti dei vigili verso lo scalo ferroviario di Porta Genova per i loro piccoli traffici. Appendice miserabile della fiera di Senigallia, su cui troneggia sinistra la sagoma dello stabile all’83 di Ripa Ticinese, rifugio di tossicomani e spacciatori, dove nei giorni scorsi una donna è stata violentata e un egiziano ferito alla gola con un coccio di bottiglia.
Qui infatti è approdato nel 2005 lo storico mercatino delle pulci, dopo lo sfratto dalla Darsena dove, dati gli spazi ristretti, era possibile operare un minimo di controllo. Sui Navigli la situazione è precipitata. Al sabato mattina arrivano gli autorizzati, mettono giù i loro banchetti, aprono gli ombrelloni e subito dopo si aggrega una variegata umanità. Sono quasi tutti stranieri, nomadi dei sempre più frequenti campi abusivi sparsi in città, africani e magrebini. Arrivano con le merci più improbabili e di dubbia provenienza. Come le venti forme di parmiggiano reggiano, rubate in un Carrefour, sequestrate ieri dai vigili. La Fiera è infatti il logico sbocco di decine di taccheggiatori dopo una settimana passata a sfilare lamette da barba, profumi, alcolici e quant’altro dagli scaffali dei supermercati cittadini. I ghisa non hanno strumenti giuridici adeguati e si limitano ad allontanarli, ma questi si spostano dall’altra parte della strada, invadono i giardinetti Baden Powell, si disperdono lungo il Naviglio, in un continuo, estenuante rimpiattino. Alla fiera di Senigallia si può trovare di tutto, e non è un modo di dire. Come in certi suk straccioni di una bidonville del Terzo Mondo, i commercianti sistemano su lacere coperte scarpe sfondate e vestiti consumati, pettini e bigodini, bigiotteria e cappelli, piccoli elettrodomestici. Poi le biciclette, tante, e non è certo malafede sospettare rubate. E anche droga. Mentre ci inoltriamo un africano dinoccolato giocherellando con un bongo ci offre del fumo.
La clientela non è delle più selezionate. Alcuni acquirenti arrivano ondeggiando malfermi sulle gambe, qualcuno tira giù i pantaloni e si libera sul marciapiede incurante dei passanti. Mentre chiacchieriamo con i vigili, che ci spiegano come possano fare ben poco per arginare il fenomeno, arriva un signore dall’aria afflitta «Mi hanno rubato lo scooter, l’avevo parcheggiato proprio qui». Un brulicare frenetico che solo le immagini possono documentare adeguatamente. Ma quando arriva il fotografo, viene subito affrontato da un «commerciante» molto attento alla sua «privacy». Corriamo a dargli man forte, immediatamente seguiti dai ghisa e il minaccioso mercante si allontana borbottando.
Dall’altra parte del Naviglio il civico 83, caseggiato popolare un tempo sede del ristorante l’Isola Fiorita, uno dei più tipici ritrovi milanesi. Le sue precarie condizioni hanno indotto il Comune a trasferire i vecchi residenti. E così subito dopo è stato «conquistato» da una banda di anarchici che hanno creato il centro sociale «Lab Zero» dove ogni tanto passava la Digos a fare qualche arresto. Poi due anni fa lo sgombero e ora lo stabile è circondato da transenne che lo segnalano come pericolante. L’avviso non ha scoraggiato spacciatori e tossicomani che l’hanno l’eletto loro rifugio. Ogni sera una rissa.

Nei giorni scorsi un egiziano è stato raccolto con la gola tagliata e una donna, che stava leggendo sulla panchina dei giardinetti, è stata afferrata da tre magrebini, trascinata dentro e violentata. Cose normali in questo dimenticato angolo di città.

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