Un famoso aforisma dello scrittore argentino Jorge Luis Borges dice: «Gli specchi e la copula sono abominevoli perché moltiplicano gli esseri umani». Il rischio non si corre nell'incubo sociale che costituisce «La commedia della vanità», scritta per il teatro da un giovane Elias Canetti nel 1933 (debuttò molto più tardi, nel 1965). La vediamo al Piccolo Strehler in replica fino al 26 gennaio, prodotta da Emilia Romagna Teatro, diretta da Claudio Longhi e interpretata da Fausto Russo Alessi in armonica risonanza con la squadra di ventitré attori e due musicisti.
Nel mondo evocato da Canetti - al tempo in cui i nazisti davano alle fiamme i libri corruttori del «vero spirito tedesco» - finiscono al rogo specchi e fotografie e viene perseguitato chi osa produrli. Il potere iconoclasta annienta la «vanità», fino a distruggere l'Io e a rendere i cittadini dei fantocci, massa di manovra di ogni dittatore presente e futuro: tanto è vero che innalzeranno statue da idolatrare, per rompere il digiuno di immagini. Longhi ambienta la commedia in un chiassoso circo, luogo che, ricorda il regista, «consente di dar sfogo al grottesco delle pagine di Canetti, oltre che rispettare la struttura della commedia, articolata per numeri».
Fausto Russo Alesi, scrive Longhi nelle note di regia, «incarna tre figure diverse, possibili stadi di evoluzione del potere. Tre personaggi affidati a un unico attore, che lo trasformano in una sorta di grande burattinaio, in relazione speculare con le tre dominanti figure femminili, anch'esse affidate a un'unica attrice».
Lo spettacolo è anche occasione per avvicinarsi a un grande della letteratura novecentesca, premio Nobel 1981, pubblicato in Italia da Adelphi. Bulgaro di nascita (quando la Bulgaria era un remoto angolo dell'Impero asburgico), di famiglia ebraica di origini italiane e spagnole, apolide in seguito, Canetti con «La commedia delle vanità» tratteggiò una specie di psicanalisi del potere e della dittatura, come (hanno rilevato alcuni critici) fece Gadda nel suo «Eros e Priapo», imperniato sulla figura erotico-grottesca di Mussolini. Insomma, i motivi per vedere lo spettacolo allo Strehler sono molti, e tutti validi, se non si considera andare a teatro come un banale passatempo scacciapensieri. «La nostra messinscena è in continuità - scrive Longhi - con altri progetti degli ultimi anni, a partire da quello su Bertolt Brecht, che indagano l'identità europea e i rischi di sbandamento dittatoriale nella storia del nostro continente».
Ma chi teme che staccare il biglietto allo Strehler possa dare accesso a una difficile e noiosa lezione politico-teatrale sbaglia di grosso: lo spettacolo, partito in tournée da Modena lo scorso dicembre, ha un tocco di divertimento non trascurabile.
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