Cosa nostra, mani sul Palazzo. Gestiva controlli e sicurezza

La Securpolice travolta dall'inchiesta dell'Antimafia Per avere l'appalto aggirate verifiche e certificazioni

Cosa nostra, mani sul Palazzo. Gestiva controlli e sicurezza

Erano arrivati nel cuore dello Stato, oltre le linee nemiche. Il palazzo di giustizia di Milano, quartier generale della lotta al crimine organizzato, aveva a vigilare sulla sua sicurezza l'azienda che viene travolta dall'inchiesta del pool antimafia di Ilda Boccassini: il gruppo Securpolice, holding della sicurezza privata guidata dai fratelli catanesi Alessandro e Nicola Fazio. Sono uomini della Securpolice i vigilantes disarmati in divisa blu che alle entrate del tribunale controllano gli accessi insieme alle guardie giurate. Continueranno a farlo, perché la Procura ha scelto di tutelare il loro posto di lavoro, chiedendo la nomina di un amministratore giudiziario. Ma i due fratelli Fazio sono in carcere insieme a altre nove persone, accusati di associazione a delinquere finalizzata ad aiutare Cosa Nostra, in stretto rapporto con pregiudicati legati al clan catanese dei Laudani.

Alla domanda su come abbiano fatto i Fazio ad aggirare il sistema dei controlli e delle certificazioni antimafia, ieri Ilda Boccassini e il suo braccio destro Paolo Storari non rispondono. Ma di certo l'appalto per la sicurezza del tribunale - gestito dal Comune di Milano - era passato per i controlli della Prefettura. Ciò nonostante, a prendersi l'appalto erano stati alla fine gente come i fratelli Fazio: che, secondo le carte dell'inchiesta, erano così legati ai clan catanesi da contribuire con i loro versamenti al mantenimento degli esponenti della cosca finiti nel frattempo in cella. Solo da un certo punto in avanti, Alessandro Fazio comunica ai conterranei che non può proseguire negli aiuti: non per scrupoli morali, ma perchè ha scoperto di essere finito sotto inchiesta.

I due fratelli Fazio, incensurati, sono accusati di avere collaborato con il clan guidato dal pregiudicato Luigi Alecci, diventando soci occulti e prestanome, e di avere finanziato i suoi affari con centinaia di migliaia di euro di fatture false agendo «nell'interesse e a vantaggio dell'impresa, ottenendo un profitto di rilevante entità». Nelle quindici pagine della richiesta di commissariamento firmata dalla Boccassini e da Storari vengono descritti minuziosamente i rapporti occulti tra i «guardiani» del palazzo di giustizia e il clan: compreso l'incontro con il presunto capo del clan Laudani, Orazio Di Mauro, che nel giugno scorso, appena prima di essere arrestato a Catania per associazione mafiosa, viene a Milano apposta per vedersi con Alessandro Fazio.

Quali pericoli ha corso il tribunale a causa di questa infiltrazione? Su quali segreti possono avere messo le mani? Ieri Ilda Boccassini respinge la domanda, «significa criminalizzare delle persone senza avere niente in mano». Sta di fatto che erano i Fazio a scegliere i dipendenti da mandare in tribunale.

E di segreti a portata di mano, una volta entrati, ce ne sono tanti. Nelle carte della stessa inchiesta, d'altronde, uno degli indagati viene messo sull'avviso da un personaggio misterioso che ha visto il fascicolo proprio sul tavolo della Boccassini.

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