Dalle passerelle alla Triennale Stile e arte di Antonio Marras

Disegni, dipinti e vecchi abiti diventano installazioni «Occasione per misurare la mia follia e ordinare il caos»

Pamela Dell'Orto

È il più visionario fra gli stilisti italiani, e tutto ciò che tocca (e fa) diventa un'opera arte: dalle sfilate agli abiti da sogno, dalle installazioni fino agli schizzi che da vent'anni continua a disegnare giorno e notte. Considerato «il più intellettuale degli stilisti italiani», Antonio Marras riesce sempre a stupire con le sue contaminazioni tra i tanti mondi che abitano il suo universo creativo: dal cinema alla poesia, dalla storia all'arte visiva. Ed è proprio l'arte visiva la protagonista di una grande mostra che inaugura oggi al Design Museum della Triennale (fino al 21 gennaio 2017), «Antonio Marras: Nulla dies sine linea». Il titolo è la famosa frase di Plinio il Vecchio riferita al pittore Apelle che «non lasciava passar giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea», la stessa cosa che da sempre fa lo stilista-artista.

Protagonista di una delle ultime Biennali di Venezia, Marras ha partecipato e organizzato tante mostre ma questa è la prima «vera» personale dello stilista (in cui non si parla di moda), e racchiude tutto il suo mondo. La mostra «comprende tutto il lavoro artistico che ha svolto fino ad oggi. E per Marras tutto diventa materiale artistico: la sua storia personale, la sua isola, i suoi cani, gli orizzonti, il mare, la storia, gli stracci, i rapporti, le relazioni», spiega la curatrice Francesca Alfano Miglietti.

Ecco allora che vecchie giacche e vecchie camicie recuperate dallo stilista fra magazzini, bauli, soffitte e cantine (e fissate allo scheletro di due grandi letti dei primi del 900) diventano parte di due suggestive installazioni che accolgono il visitatore e lo proiettano in un sogno. Si apre così la grande rassegna che conta migliaia di schizzi, pensieri, suggestioni, oltre ai 500 dipinti e disegni rielaborati e montati su vecchie cornici, appesi alle pareti della «curva» della Triennale. Fra le tante installazioni, «Notti bianche», fatta con un tappeto sardo e tanti peluche, e «Ballu Tondu Performance», gonna monumentale fatta di tante gonne della tradizione sarda cucite sulla cima di un cono.

«Marras vuole farci sentire come dentro un sogno, dove si vedono cose che ci sono ma potrebbero non esserci, cose che potrebbero esserci e non ci sono. Sospensione, illusione, ripetizione, illuminazione», prosegue la curatrice. Ed ecco che, come in uno spettacolo teatrale, ci si trova in piccole stanze realizzate con delle quinte (fatte con porte di legno antiche, anche queste recuperate) che ricostruiscono l'interno di una classe o di un ospedale, ambienti diversi in cui ci si spoglia dei propri abiti per indossare una divisa, leit motiv della mostra.

«Questa mostra è l'occasione per misurare la mia follia e riordinare il mio caos», spiega Marras. «Qui mi racconto sotto un'altra veste.

Ho messo a nudo con oggetti, schizzi, pasticci recuperati dai cassetti tutto il mio percorso artistico e di vita. Un percorso che è stato segnato da figure importanti come quella di Maria Lai, che mi ha accompagnato nel mondo dell'arte con incoscienza e mi ha insegnato a non aver vergogna».

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