Il degrado del Corvetto tra gli "affari" dei pusher e chi cerca cibo nei rifiuti

Il Covid ha lasciato il segno in una delle aree di spaccio più importanti della Lombardia

Il degrado del Corvetto tra gli "affari" dei pusher e chi cerca cibo nei rifiuti

«Vengo qui in treno ogni giorno da Novara. Non si sta male, è tranquillo. I cinesi e gli indiani sono brave persone, grandissimi lavoratori. Per il resto lo spaccio, l'abusivismo, è noto, rappresentano la piaga del quartiere. Ma non è più il Corvetto di una volta, sa? O almeno così dicono...».

Tra una piega e un taglio Giovanna, 56 anni, occhioni blu e sorriso zuccheroso, dipendente dell'affollatissimo parrucchiere cinese «Bellus» di via Polesine, mostra di essersi fatta un'idea della zona. E mentre si rivela l'unica italiana tra lavoranti e clienti all'interno del negozio, quando le chiediamo se, al Corvetto, verrebbe anche a viverci (tanto per non fare la spola ogni giorno da Novara, eh!) lei risponde lapidaria: «Mai. Io voglio tornare ad abitare a Parma, mio figlio risiede lì: è un paradiso».

Certo, è palpabile la differenza tra il capoluogo di provincia emiliano con il più alto livello di qualità della vita e piazzale Gabriele Rosa, una delle maggiori aree di spaccio a cielo aperto di Milano e della Lombardia, in grado di soddisfare tutte le esigenze di chi è interessato all'argomento stupefacenti: cocaina, hashish e marijuana e naturalmente, volendo, non mancano nemmeno le droghe sintetiche di ultima generazione. Tanti, troppi gli acquirenti sia in ore diurne che serali. Negli ultimi mesi il commissariato Mecenate, competente sulla zona, ha sequestrato centinaia di dosi, sentiti a sommarie informazioni testimoniali oltre 50 acquirenti, arrestato una ventina di ragazzi stranieri (anche minorenni) perlopiù marocchini ed egiziani.

L'azione della squadra di polizia giudiziaria, diretta dal primo dirigente Angelo Simone, ha inciso non poco sull'atavica attività di spaccio della zona, così come sull'abusivismo a cui lo smercio della droga è legato a filo doppio. Di fronte ai palazzi Aler, mischiandosi con finta nonchalance tra donne e bambini, fingendo di riposare sulle panchine, di chiacchierare in comitiva, sono decine i pusher magrebini - perlopiù marocchini e qualche egiziano, tutti irregolari e rigorosamente pregiudicati per reati specifici - che lì trascorrono le giornate fino a tarda notte. E così, agganciano i clienti che, numerosi, arrivano nel quartiere dalle fermate della linea gialla del metrò di Corvetto e di Brenta o sull'ormai «mitica» linea 95, attraverso la quale raggiungono facilmente anche piazzale Martini, altra area «calda» dello smercio degli stupefacenti.

Di recente la polizia è riuscita anche in una sorta di impresa. Dopo aver scardinato la «storica» base di spaccio nel palazzo di piazzale Gabriele Rosa 9 - spalmata su tre scale, la A, la F e la D, nonché le cantine e i solai della scala B, poi fatti murare con lastre di metallo per impedire possibili «ritorni» - ha riconsegnato ad Aler due alloggi occupati abusivamente e che fungevano da base logistica per gli spacciatori che li concedevano, con una sorta di modalità di «mutuo soccorso», a chi tra i loro protetti aveva bisogno di un posto dove smerciare la «roba». Favori tra amiconi, insomma.

I residenti hanno mostrato un alto livello di gradimento per il lavoro del commissariato Mecenate. «Troppe risse e gente delirante nell'androne tra i clienti dei pusher prima dell'intervento della polizia - spiega Priscilla, 36 anni, operaia e residente al civico 9 -. Il problema è un altro: qui gli italiani sono davvero pochi, al dire il vero sono perlopiù anziani. E tra loro ci sono tante vecchiette che vanno a guardare nei cassonetti della spazzatura per cercare qualcosa da mangiare».

Passeggiando tra via dei Panigarola, via dei Cinquecento, via Pomposa e piazzale Ferrara incontriamo Ermenegildo, manutentore, 51enne, che abita in zona con la moglie Chiara.

L'uomo ha le idee chiare: «Il quartiere è sempre quello, ma dalla pandemia è aumentata la gente che va a rimestare tra i resti del mercato, il martedì, perché non ha niente da mangiare. È una cosa che ho visto fare solo nei filmati dei tempi di guerra. Giudichi lei come si vive al Corvetto...».

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