Distante e isolato caduta di un sindaco senza (più) passione

Sono lontani i tempi della «rivoluzione gentile» Il lungo addio al Comune per Pisapia è già iniziato

Excusatio non petita . «Rispetto agli anni scorsi sono stato meno presente in aula per questo bilancio, ma non dipende da disinteresse». Mercoledì sera il sindaco entra in consiglio comunale e la sua presenza diventa una notizia. Le agenzie di stampa lanciano un Bilancio approvato, Pisapia in aula. Come fosse una presenza insolita. E forse, un po' insolita lo è diventata se è lo stesso Pisapia a doversi giustificare.

«Sono stato assente - spiega - perché al mio lavoro di sindaco si è aggiunto quello per la città metropolitana e gli impegni con le delegazioni internazionali per Expo». Tutto vero. Quello che i giorni della crisi a Palazzo Marino raccontano, però, va oltre la frenesia dell'agenda istituzionale. È il vento arancione, quello che il 30 maggio di quattro anni fa riempì piazza Duomo, ad aver smesso di soffiare. È quell'annuncio di qualche mese fa - non m i ricandido - che i suoi sembrano aver preso per un «rompete le righe».

«Sarò sindaco fino all'ultimo», ha detto Pisapia in una recente intervista al Corsera . Anche fosse, potrà farlo da generale senza armata. Lame duck , dicono gli inglesi. Un'anatra zoppa. Un sindaco a fine mandato, in una giunta che continua a perdere pezzi, in mezzo al fuoco amico del principale partito di sinistra (lui così poco renziano), indebolito dalle ambizioni elettorali di alcuni assessori che hanno già lanciato la sfida - Pierfancesco Majorino l'ha fatto con garbo sornione dal palco del Teatro Litta - e di quelli che «sono pronti a metterci la faccia», come ha detto ieri Ada Lucia De Cesaris. E così, alla fine, l'ormai ex vicesindaco lo ha ammesso. Ognuno per la sua strada, se la meta è la poltrona più ambita. Ed ecco che le sue dimissioni, così traumatiche e genuine, finiscono per apparire strumentali.

Anche per questo, in fondo, suonano come una piccola bugia le parole pronunciate dal sindaco all'indomani del «no» a un'ipotesi di ricandidatura. «Non è per stanchezza, ma per coerenza». Conoscendo la storia di Giuliano Pisapia - dell'avvocato e del parlamentare Giuliano Pisapia - dev'essere stato sia per coerenza che per stanchezza. L'esaltante sfida a Palazzo Marino lanciata quattro anni fa si è infranta contro le beghe quotidiane di una maggioranza riottosa e su assessori che hanno pensato prima alla propria carriera politica che alla responsabilità verso i cittadini. La foto del sindaco circondato dai suoi dodici assessori pubblicata mercoledì dal Giornale è l'istantanea di un fallimento e di un'idea che implode, perché uno a uno metà di quei compagni di viaggio l'hanno abbandonato. Il tecnocrate Bruno Tabacci che si candida alle politiche e lo stesso fa la cattolica Maria Grazia Guida. Lucia Castellano - vicina ai comitati di cittadini - che lo «tradisce» per Umberto Ambrosoli e un posto in Regione. Ora De Cesaris, da molti considerata il sidaco-ombra che se ne va sbattendo la porta ma senza chiuderla del tutto, perché chissà che al prossimo giro non sia lei a stare al centro della foto. C'erano tutti, quel giorno. Tutti sul carro della «rivoluzione gentile», tutti lanciati da un vento che ora sembra soffiare in senso contrario. «Buongiorno Milano», era il saluto all'indomani della vittoria elettorale. «Nessuno è indispensabile», è il commiato di una persona e di un politico per bene, a cui però Palazzo Marino ormai sta stretto.

Quattro anni dopo, dunque, dalla barca che affonda sono scesi in molti, quasi tutti in tempo per rifarsi una vita (e una poltrona) da qualche altra parte. E dove inizia l'interesse privato, finisce il senso della cosa pubblica.

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